mercoledì 11 novembre 2009

Arco del Castello di Ghiaccio 09

Immaginiamo che questo castello sia reale solo per me. In questo momento.
Teoricamente esiste per tutti, ma per ognuno ha una sua forma ed una sua conseguenza.
Come sono arrivato qui? Le prime volte era sotto forma di sogno, o trance. Mentre dormivo, mi ritrovavo rinchiuso qui. Ok? Ok.
Poi, immerso nei miei pensieri angosciosi, mi ritrovo quaggiù, camminando.
Cos'è questo castello?
Posso solo fare ipotesi; potrebbe essere una prova, una sfida, un conforto, un aiuto, un omicidio, una mazza, un silent hill freddo e congelato, una deflagrazione multicolore, chi lo sa.
In questo momento mi sembra più una prova, o un conforto. Un luogo dove potevo stare, ma io ho fatto lo stupido.
Avevo sbalzi di umore, ho rotto un po' tutto.
Dico questo perché quando ho aperto la porta ed ho visto cosa c'era, subito m'è venuta in mente la possibilità che possa essere una prova di riscatto verso l'accoglienza che ho avuto.
Chi era la strega che mi rinchiuse qui?
In ogni caso, qual'è l'ultimo sentimento, tra gli sbalzi d'umore, che ho avuto?
L'ira, giusto? Sì, l'ira, l'ira. Ha proprio senso, quest'ipotesi. Sembra che io debba riscattarmi, dimostrare che sono capace di fare il contrario di ciò che ho fatto.
Fisso la belva e, a sua volta, la belva mi guarda.
Devo mantenere la calma.
Assolutamente.
Guardo il bestione, è una specie di orso, o di lupo, o di leone, non so dirlo perché non è propriamente una bestia vivente. Non so se avete presente quei leoni di marmo, o di pietra, o non lo so, che i cinesi che piazzano al di fuori dei loro templi o altre costruzioni del genere.
Sì dai insomma. Belve giganti, completamente bianche, fantastiche, bellissime, simmetriche, fantasiose.
Scodinzola; la bestia ha una coda. Ha il corpo liscio, praticamente felino, stupefacente. Ha le spalle larghe, è più grande di me, le unghie grattano il terreno. La testa è grottesca, una maschera maccheronica. Occhi grandi, di pietra bianca, roteano e mi fissano.
La bestia mi fissa, non si muove ma forse è perché non mi sono mosso nemmeno io.
Dalla sua bocca esce del fumo, sarà aria condensata.
Lei, signora mia, bestia prepotente, somiglia proprio all'incarnazione della mia ira.
Faccio un passo, lei si alza.
Mi scosto, guardo aldilà e vedo un'altra porta.
Faccio altri due o tre passi, la belva è ancora distante. Lei, sì, lei si alza e si avvicina; la signora sembrava calma, ma ora mi ruggisce.
Faccio un passo indietro, lei non si muove, mi ringhia. Provo dunque a raggiungere l'altra porta, e lei ancora apre la bocca e grida. Sembra una ciminiera di aria condensata.
Cammino ancora, afferro l'elsa della spada e provo a star calmo. Mi sto cagando addosso.
La belva si protende in avanti, allarga le zampe e mi abbaia, mi ruggisce, fa bordello, mi rompe i timpani. Lei, alta almeno due metri e mezzo non vuole che io passi, ma cammino ancora.
Sono a due passi da lei, mi scosto un po' e tengo la spada dritta di fronte a me per, tipo, difendermi. Lei scopre i denti e quasi mi morde. Riconosco il mio cane, quando difende le sue cose.
Poi mi ulula in faccia, sento il calore vuoto e spento del suo alito arrivarmi in faccia. Sento il pavimento tremare, la bestia odia, è rabbiosa, non sbava solo perché non ha saliva.
Cala un attimo di silenzio, accompagnato in realtà dal suo cupo ringhiare. Ce l'ho di fronte, dietro c'è la porta. Lascio perdere la spada, scosto la creatura e raggiungo la mia meta a balzelloni.
lei non mi insegue, ma ulula e fa casino.
La rabbia alimenta altra rabbia, ma questa è solo paura.
Avevo paura?

Leggiadro, apro la porta.

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