giovedì 29 settembre 2011

AAAA AVVISO.

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Mi sono trasferito su questo nuovo blog!
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venerdì 2 settembre 2011

Renegade Storia 1

Ho deciso di raccontare una vecchia vecchia storia.
È scritta in modo particolare, e sono intriso dall'essenza di Chuck Palahniuk. I contenuti sono forti, ed è la prima parte.

Vi prego, fatemi sapere cosa ne pensate.




Renegade

Le fiaccole illuminano il gruppo di forestieri nella locanda Il flauto del fauno mentre lunghi corni simili alle nostre sirene avvertono di un qualche pericolo imminente. Anche una campana svelta e fastidiosa, sempre al solito rapido ritmo, accompagna le urla dei soldati.
Il barista commenta che, come al solito, l’allarme chimera deve rovinargli la serata.
Un forestiero, quello che sembra più giovane, chiede da sotto il suo cappuccio della cappa cosa sarebbe l’allarme chimera.
Il barista, giovane, con gli occhi azzurri e uno sguardo scocciato, risponde che quando nella città appaiono presunti vampiri, demoni, licantropi, streghe o ‘ste cazzate qua, devono chiudere tutto, chiunque resta barricato lì dov’era e i guerrieri ed esorcisti incredibilmente esperti fanno una retata, eliminano qualunque essere malvagio o ‘ste cose qua.
Ma probabilmente, continua il giovane barista, è un altro falso allarme.
Dopo un minuto di silenzio, sempre il barista, invita tutti i forestieri a sedersi vicino al bancone. Sarà una notte lunga, dice il giovane barista, sempre lui a parlare, voglio sentire le vostre storie. Tenetemi sveglio, nessuno può dormire questa notte.
Qualcuno sembra d’accordo, altri nemmeno parlano.
Il barista dice che offre una birra, o qualsiasi cosa sia a portata di mano, al primo che parla. Così, per dare un incentivo. Il barista, sempre lui parla.
Allora l’ubriacone di turno si offre, vuole raccontare lui la storia. E poi vuole dimenticare tutto.
Sembra un classico bandito, di quelli che depredano le carovane, stuprano donne, mangiano bambini, uccidono. Sembra un lupo mannaro. Capelli lunghi, disordinati, per nulla curati gli ricadono sulle spalle. Gli occhi azzurri sono marchiati da occhiaie voluminose e viola. Il volto è ricoperto di cicatrici spesse, sul naso, sulla bocca, sulla guancia.
Parla lui, dice, e poi vuole dimenticarsi di tutto.
Il barista lo informa che qualunque cosa chiederà, non sarà sufficiente per sbronzarsi e cadere a terra incosciente e noncurante di ciò che sta succedendo. Sarebbe troppo.
Il bandito, che è tipo un trentenne, con la barba ispida, con una giacca di pelle e cuoio, pelliccia, peli e così via dice che non fa niente, si dimenticherà di tutto ascoltando le altre storie. Ma prima la sua, dice. Così si leva il pensiero.

Storia I Il bandito

So che non ci crederete, ma io vengo da una famiglia nobile, sapete.
Ero una specie di rampollo, tutto altezzoso, con la pedicure e cazzate del genere. Dico ero perché, da quanto vedete, non lo sono più. Avevo vent’anni o giù di lì, e il giorno più importante della mia vita si stava preparando a stuprarmi la faccia.
Me lo ricordo ancora, ero uscito con una carrozza tutta addobbata, ero con i miei genitori e mia sorella. Dovevo incontrare una certa Lady Benson, la figlia di un altro aristocratico. Un possessore di terre, ma ovviamente non ci lavorava lui. Aveva dei, diciamo, dipendenti che zappavano per lui, annaffiavano per lui, davano a lui i raccolti.Lui li vendeva, dava tipo un centesimo di denaro a quei poveracci e il resto se li teneva e diventava sempre più ricco. Il campo era così vasto che se quei poveri stronzi avessero deciso di tenere per sé il raccolto avrebbero mangiato per un anno, tipo. Se solo la frutta non marcisse.
Però ovviamente non è che uno va avanti con acqua e mele, capite, la cosa non avrebbe funzionato. E non funzionerà mai, quei poveri stronzi lavoreranno sempre per ricchi stronzi.
Sua figlia, la Lady Benson di cui parlavo, me la ricordo ancora. Era una troia stratosferica.
A sedici anni mi mostrò le zinne, fu un giorno fantastico. Ma non me le faceva toccare.
Menatelo, mi diceva, e guardami. Quella troia.
A sedici anni, credo, mi permise di mettergli la mano tra le cosce, ma ricordo che facevano schifo. Puzzava. Chissà quanti altri contadini, riccastri, maggiordomi e cose varie si faceva.
Però a me piaceva, poi era una figa. Non vedevo l’ora di mangiarmela tutta.
Dovevo sposarmi con lei, avevo già premeditato tutto. Prima notte avremmo scopato come i cani, poi lei avrebbe fatto la troia con altri e io mi sarei innamorato della mia serva e avrei dormito sempre con lei. Cose del genere. Stronzate, insomma.
Allora lì, in carrozza, praticamente mi venne duro solo all’idea di poterla vedere. Cercavo di nasconderlo ai miei genitori, parlavamo del tempo, della luna piena che già sbucava al tramonto.
Poi vennero loro, i grandi. Cambiarono la mia vita.
Un branco di lupi divorarono la mia famiglia, mangiarono la faccia di mio padre, divorarono gli arti di mia sorella. Così, per divertimento, per fame, perché così si fa, per loro.
Tentarono di mangiare anche me ma quel gran figo del capo branco no, disse, lasciamolo in vita. Adottiamolo. Così fanno, quei lupi mannari, perché stiamo parlando di loro.
Depredano carovane intere poi ne lasciano in vita uno e lo tengono per sé, come trofeo.
Mi morse Caterina, quella stronza, proprio qui sulla faccia. Mi portarono al loro covo momentaneo, perché così fanno, quei lupi mannari, non hanno mai un luogo fisso dove vivere. E aspettarono, mi portarono cibo, acqua, mi trattavano come un principino e non capivo perché.
Ma poi il motivo è stato chiaro: avrei sofferto abbastanza dopo.
La prima settimana non feci che vomitare, sembrava di tirar fuori tutte le budella. Vomitavo acido e vermi grossi così, quanto il mio pollice. I mal di testa sembravano uccidermi, davvero. Caterina, quella stronza, mi disse che ognuno ha una resistenza diversa. Una predisposizione particolare. Lei per esempio ha versato fiumi di sangue dal culo e dalla figa per qualche giorno. Poi così, si riprese.
Altri ci rimanevano secchi, come Truman, che non ho mai conosciuto, è schiattato dopo due mesi di agonia. I vermi lo mangiarono da dentro. Poi riuscirono a trovare un modo per far sopravvivere i loro trofei. Come un professore che gonfia i voti dei loro studenti preferiti nei loro periodi no. Carne avvelenata, o meglio putrida. Praticamente io non mangiavo, come ingoiavo cibo i vermi me lo rubavano. E la carne avvelenata avrebbe dovuto ucciderli. Però sono resistenti, cazzo, ci hanno messo troppo per schiattare.
Rispetto a Truman riuscii a cavarmela più o meno, alla seconda settimana mi assalivano degli improvvisi dolori alle ossa, all’addome, alla schiena. Il beta del branco, Gionata, mi teneva per le braccia per non farmi contorcere mentre Caterina mi succhiava l’alluce.
No, ma davvero. Prima di diventare la troia che era faceva tipo la massaggiatrice reale. Ogni punto del piede rappresenta un nervo, no?, e massaggiando la base dell’alluce bloccava temporaneamente bloccato gli spasmi e i dolori.
Qualche tempo dopo mi avrebbe succhiato anche l’uccello, ma questo ve lo racconto dopo.
Comunque, dopo praticamente tre mesi di dolori sono riuscito a trasformarvi, e indovinate cosa?

-
Un uomo si alza e spintona il lupo mannaro. È ancora incappucciato. Lo incolpa, dice che è stato lui a fare quella cosa. Lupo mannaro non sa di cosa sta parlando.
Un’altra donna, sempre incappucciata, dice che certo, si sa di cosa stia parlando.
Quella cosa alla Lady Benson.
Il Lupo mannaro giura che non è stato lui. Il barista alza le sopracciglia e chiede cosa è successo esattamente. L’uomo si toglie il cappuccio. Capelli bianchi tirati all’indietro, un numero indefinito di cicatrici, anche lui. Pelle pallida, come quella di un morto.
Va bene, dice il morto, vi racconto.

mercoledì 10 agosto 2011

La coscienza dell'automa

Ho deciso di pubblicare il primo capitolo del mio libro, Dream On, seconda stesura.
Se volete assaggiarne un pezzetto allora leggete! :3




01



Apro gli occhi.
Un soffitto bianco è sopra di me, proprio dove doveva essere.
Sposto lo sguardo ed esamino l’ambiente che mi circonda. Sono in una stanza grigia, steso su un freddo letto metallico. In un angolo c’è un armadio, di fianco a un muro si trova un’antica televisione, numerosi e grossi computer giacciono su una lunga scrivania.
Qualcosa non va, però. La televisione e i monitor dei computer sono senza schermo, posso vedere tutti i circuiti all’interno. La finestra è sbarrata da una pesante placca di metallo fissata con numerosi e spessi bulloni, ma nonostante tutto la luce riesce a filtrare dalla finestra mostrando piccoli granelli di polvere svolazzare. Capisco dunque che è giorno.
Dal letto partono centinaia di cavi che si immergono in tubi di ferro negli angoli delle stanze collegati a chissà cosa. Sono al centro di una ragnatela di ferro, e il letto è il mio ragno. Le sue lunghe zampe mi avvolgono. Mi accorgo poi che non si trattano di zampe bensì di lunghi cavi i quali terminano con ventose appiccicate a ogni parte del mio corpo. Le ossa mi fanno un male terribile.
Mi siedo sul letto, strappando ogni ventosa, e continuo a guardarmi intorno. Perché tutto ciò non mi sorprende? Perché per me è tutto terribilmente normale? Mi massaggio le tempie e rifletto. Ieri non ero qui. Ero altrove, facevo qualcos’altro, e sono andato a dormire da qualche altra parte. I ricordi sembrano esserci ma sfocati, sfuggenti, e appena li focalizzo serpeggiano via dalla mia mano, scivolano. Chiunque fossi stato ieri, non avevo questo dannato dolore alle ossa, poco ma sicuro.
La casa mi è familiare, ma non provo la tipica sensazione di appartenenza. La conosco ma non sembra essere mia. Di conseguenza, dovrebbe essere di qualcun altro. Mi stringo la testa e mi arruffo i capelli, ah ho dei capelli!, e mi alzo. Fantastico, mi accorgo di essere completamente nudo. Cosa devo fare adesso? Se incontrerò qualcuno, mi presenterò e gli spiegherò la situazione. Cioè, mi sono appena svegliato in camera tua nudo come un verme e non ricordo nulla di ciò che ho fatto ieri. No, no, no. Ciò non può funzionare. Mi rendo conto che effettivamente non conosco neanche il mio nome. Come posso presentarmi a qualcuno se non conosco il mio nome? Cerco di andare indietro con la mente ma la mia memoria non è che un colabrodo, mi sfugge tutto. Ho un passato, ma più cerco di ricordarlo, meno riesco ad afferrarlo. La cosa più strana è che tutto ciò mi sembra perfettamente normale.
Sento il bisogno di continuare la mia routine. Un pensiero in qualche angolo della mia testa mi suggerisce che effettivamente sarebbe ora di andare a scuola.
Insomma, io mi sveglio senza sapere chi sono e voglio andare a scuola. Mi fa quasi ridere.
Cerco qualcosa con cui coprirmi aprendo il divano. Trovo numerosi abiti che sembrano proprio della mia misura, quindi indosso in tutta fretta un pantalone color cachi e un maglione verde. Eliminato il problema nudità, posso permettermi di esplorare la casa.
Vado in giro a curiosare e sembra essere tutto in ordine. Silenzio tombale, però.
Noto effettivamente che non c’è nessuno. Un perfetto appartamento vuoto, perché si tratta di un appartamento a quanto pare, e non ci sono mobili. Tranne, ovvio, quelli della stanza in cui mi sono svegliato. La casa è polverosa, come se non pulissero da tempo, eppure si vedono chiaramente quadrati chiari sui muri, privi di polvere e sporco. In quei punti dovevano trovarsi dei mobili. Ora non ci sono, non capisco perché avrebbero dovuto toglierli. Ogni finestra è sbarrata dalla solita placca di metallo. Entro in quella che presumibilmente dovrebbe essere la cucina, lo capisco da un fornello e un lavandino staccati e poggiati a terra, rovinati.
Le tubature del lavandino sono come strappate, mentre cammino calpesto una vite e mi rendo conto della presenza di piccoli pezzi come bulloni, pietre o pezzi di ferro. Oltre quello non è che una stanza vuota. Dalla cucina si affaccia un balcone, senza grosse sbarre di ferro a differenza delle finestre. Do uno sguardo all’esterno e vedo solo un ambiente urbano. Il crepuscolo soffocato dai gas assume una colorazione verdastra. Sto assistendo a un’alba verde.
Non riesco a credere che la sensazione di obbligo alla ciclicità di routine mi stia obbligando a proseguire come se nulla fosse. Che razza di persona sono se sento il bisogno di proseguire normalmente, se accantono automaticamente ogni problema insolito per proseguire per la mia strada? Mi viene da accantonare anche il fatto che sia strano, non sembrano nemmeno miei pensieri.
È quasi un istinto, una forza innata che mi spinge a continuare e rende scivolosi i miei ricordi.
Vado in bagno e osservo la mia figura allo specchio. Vedo un ragazzo con labbra carnose, occhi castani a mandorla e pelle abbronzata. Ho i capelli folti, lunghi fino alle spalle. C’è un elastico sul lavandino, e con un gesto automatico lo prendo e mi faccio un codino. Evidentemente è un’abitudine che non sono riuscito a lavare via. Apro il rubinetto e vedo che in questa casa l’acqua c’è, quindi non è completamente abbandonata.
Mi sciacquo nella speranza che l’acqua fresca mi chiarisca le idee, e magari mi faccia passare il dolore alle ossa e alle articolazioni.
È ora di decidere cosa fare. Tra i tanti flussi di possibilità e di eventi, ci sono infinite vie da prendere. Principalmente potrei aspettare che qualcuno arrivi e potrei chiedere spiegazioni, ma scelgo di continuare, prendere l’iniziativa e di andare avanti secondo i miei bisogni e istinti.
Io sento di dover andare a scuola.
Utilizzo il treno per raggiungerla, so automaticamente dov’è la stazione e dove e quando effettuare i cambi.
Ho dimenticato le mie esperienze e le mie conoscenze, ma allo stesso tempo riconosco gli oggetti, la routine. So cos’è una sedia. Quindi non sto partendo da capo.
È strano rendersi conto delle piccolezze che si pensano quando si perde la memoria.
Dopo numerose fermate scendo alla mia destinazione e prendo la strada per la scuola. Vengo accompagnato da una folla di studenti, tutti vanno nella stessa direzione.
Un manipolo di gente pieno delle più varie persone. Mi sento stretto e accaldato quando cammino, gente sudata o poco lavata si stringe tra loro e si affretta per arrivare puntuale.
La scuola ha due entrate. Scendendo dalla stazione si raggiunge prima l’entrata secondaria ma io, in qualche modo, preferisco entrare da davanti.
È una scuola priva di specializzazione. Quando arrivo noto diverse cose che non vanno.
Il cancello è deforme, tubi di ferro si intersecano col marmo per formare due enormi porte. Le ante sono aperte ma non simmetricamente. Riesco a intravedere la cancellata sinistra; sono scultura in altorilievo confusionarie. Dalle parti della serratura c’è un disegno particolare, sembrano mani, o zampe.
Le persone sudaticce e indaffarate continuano per la loro strada, ignorando tutto e tutti. Ignorano il cancello, ignorano me e il mio dolore alle ossa.
Mi lascio trascinare dagli altri, mi dimentico dei dettagli ed entro a scuola. L’edificio è grigio, somiglia quasi a un carcere. Le mura all’interno sono bianche e noto che in ogni angolo c’è una statua di marmo greca o un manichino flaccido. Prima di farmi troppe domande decido di smettere di pensare.
Ovviamente so anche in che aula devo andare: è la 230 al secondo piano.
La mia classe è composta da trenta persone circa, l’aula è ampia e io naturalmente non riconosco nessuno. Mi siedo e attendo lo scorrere degli eventi. I primi dieci minuti passano in un silenzio religioso e stupefatto, almeno la metà degli studenti non sa perché si trova a scuola. Come me.
Sono circondato da persone bizzarre, mi diverto a osservarli. Di fianco a me è seduto un ragazzo alto, slanciato, dai capelli rossi e lo sguardo furbo. Ha le gambe rilassate e distese, le mani dietro la testa e attende l’inizio della lezione beatamente. Vicino alla cattedra ci sono due ragazze dai vestiti particolari. Neri, lunghi, pieni di fiocchi e lacci. Credo sia un’antica moda tornata in voga recentemente: il gothic lolita. Una delle due ha i capelli bianchi come la neve e continua a voltarsi in direzione di un altro ragazzo, seduto nell’angolo più in ombra della stanza. Ha i capelli tinti di nero e pesante trucco sugli occhi. Sembra stia rimuginando qualcosa, si tocca il mento e pensa intensamente, spesso accenna a un sorriso. Nonostante tutto è un bel ragazzo.
Arriva il professore, un uomo alto, panciuto ma giovane, con gli occhiali e uno sguardo particolarmente irritato. Non procede con l’appello, semplicemente si siede e comincia a leggere una rivista di moda. Dopo qualche minuto la poggia e si alza.
— Forse è ora di cominciare a lavorare. Tu! Tu, ragazzo dai capelli rossi, sai cos’è la seconda operazione Partenopee? —
La domanda colpisce un po’ tutti. Dopo qualche attimo, il rosso risponde titubante:
— Ha qualcosa a che fare con Neapoli?—
Un ghigno si dipinge sul volto del professore,
— Neapoli è il nome della nostra isola. Non è una risposta.—
Il rosso mugugna qualcosa digrignando i denti. Evidentemente non ha assolutamente idea di cosa rispondere. Ma io sì. Alzo la mano, pronto ad aiutare il mio compagno di classe ma il professore mi guarda con aria quasi di rimprovero, come se preferisse prendere in giro il rosso piuttosto che fare davvero lezione.
— Come ti chiami? — Gli chiede l’insegnante, alzandosi dalla cattedra. Si avvicina in modo sinuoso, a passo sicuro. Un gatto pronto a giocare con un topolino che ha attratto la sua attenzione. Il rosso allarga con un dito il colletto della sua camicia rosa per deglutire. Risponde qualcosa di inarticolato, seguito da un lungo — Ehhmm.. —
— Dovrei metterti un’insufficienza.. ma diamine! — Il professore sbatte la mano contro il banco di una ragazza che non c’entra nulla — Non ho il registro! Quindi che importa. Tu volevi rispondere? Come ti chiami? — Finalmente indica me e toglie l’imbarazzo accumulato sulla testa della povera vittima, il suo volto si è fatto di un rosso intenso perfettamente sposato con i suoi fiammanti capelli. Abbasso di scatto la mano e tiro il fiato per vomitare tutto l’agglomerato di informazioni che mi si è formato in testa.
— L’operazione Partenopee è un’azione militare per estirpare la malavita da Neapoli. A essere corretti si dovrebbe chiamare Operazione Partenopee Terza, in quanto le precedenti azioni si sono svolte in una florida città meridionale dell’Italia, sprofondata negli abissi più di un secolo fa. Non furono solo i politici a trasferirsi a Neapoli dopo il disastro naturale ma anche ogni tipo di malavitosi. Nella storia Italiana, questa è l’unica operazione Partenopee ad aver veramente funzionato. — Mi accorgo di avere il fiato mozzato, ho parlato troppo velocemente senza respirare. Prendo lente boccate d’aria in attesa della reazione del professore.
Lui mi guarda con una smorfia, aggiustandosi gli occhiali che continuano a scendergli sulla punta del naso.
— Voglio le date. — Sibila con gli occhi sottili come fessure.
— 2013 il disastro naturale che ha inondato l’Italia, 2020 la costruzione dell’isola artificiale terminata con successo nel 2060. L’operazione partenopee terza è stata eseguita il secolo scorso, quindi nel 2120. — Vomito ancora l’ondata di informazioni. Non ho idea di come faccio a sapere tutto questo. Non ne avevo idea, semplicemente. È come se avessi immagazzinato tutto ciò di cui ho bisogno sapere in lontani cassetti di una biblioteca immensa e ora magicamente mi sono ricordato come raggiungerli. Il professore, altamente insoddisfatto, mi lancia un profondo sguardo di disgusto dopodiché torna in silenzio al suo posto riprendendo a leggere una rivista spagnola. Mi sembra di vedere un gatto appena balzato su un succoso uccellino che però è volato subito via. Un gatto estremamente in disappunto. Tiro un lungo sospiro di sollievo, chiedendomi quando l’insegnante tornerà all’attacco torturando un altro studente a caso. Dovrei alzare di nuovo la mano?
Lancio uno sguardo fugace al rosso che ricambia trucemente. Si sbottona il colletto della camicia mostrando il suo petto liscio adornato da un ciondolo tribale e agita la mano come se fosse un ventaglio.
È ottobre ma non fa così freddo, probabilmente è perché ci troviamo quasi all’altezza dell’equatore, ma in compenso c’è un’umidità pazzesca.
— C’era proprio bisogno di fare il sapientone? — Mi chiede acidamente.
— A dire il vero io.. — Farfuglio qualcosa preso alla sprovvista. Pensavo di aver fatto una cosa positiva, distogliere l’attenzione del professore. Non è così? Perché deve comportarsi in questo modo?
— Lascialo stare, rosso, aveva buone intenzioni. — Dice un voce piatta con un terribile accento francese dietro di me. Mi volto e vedo un ragazzo dalle spalle ampie, con un’espressione apatica dipinta sul volto. Ha i capelli corti e castani ma una lunga frangia tinta di rosso gli copre l’occhio sinistro. È vestito di tutto punto, in modo quasi macabro: una scura camicia nera, cravatta nera, pantaloni neri, scarpe nere e due guanti neri di cuoio. Sembra uscito da un funerale. Ma la cosa che mi colpisce di più è il suo sguardo, l’unico occhio non coperto dai capelli mi guarda con un’espressione innaturalmente apatica.
Il rosso si copre la fronte con la mano, sospirando.
— Hai ragione, sono semplicemente.. stanco. —
Passa un’ora e quando il professore ha finito di leggere tutte le sue riviste omoerotiche indossa la giacca e se ne va. Per almeno dieci minuti non viene più nessuno quindi decido che è ora di interagire in cerca di informazioni. Do prima di tutto un preliminare sguardo in giro. C’è la ragazza bionda, mi affascina terribilmente. Come al solito coinvolta in una chiacchierata con altre sue amiche anche se ne è terribilmente estraniata e sorride gentilmente sperando che nessuno chieda la sua opinione. Le due ragazze vestite da gothic lolita chiacchierano ancora con calma e sorseggiano del te aromatizzato alle erbe anche se non mi è esattamente chiaro come l’abbiano preparato.
Sento due sguardi fissi verso di me, uno da parte del ragazzo dall’accento francese, l’altro invece da quell’inquietante tipo vestito di nero dai capelli tinti. È lì nell’angolo, per tutto il tempo è rimasto accovacciato nell’ombra indifferente ma adesso mi guarda con due grossi occhi azzurri truccati di nero sotto una scura frangetta cotonata. Dovrei chiedere in giro informazioni, anche se sembra che nessuno mi abbia riconosciuto. Ma ho i brividi al solo pensiero di dover rivolgere la parola a quei due tipi. Mi sporgo verso il ragazzo rosso e attiro la sua attenzione. — Ehi. —
Lui mi guarda scocciato come se ogni seccatura del mondo oggi dovesse capitare proprio a lui.
— Tu non mi hai mai visto prima, vero? — Gli chiedo. Lui mi guarda sospettoso, poi socchiude gli occhi pensando. — No. Non credo. Anche se fino a poco tempo fa ero convinto che.. mah. Niente. —
Anche se fino a poco tempo fa cosa? Non mi basta un “niente” come risposta, nella mia situazione non posso permettermelo.
— Cosa credevi? — Insisto. Lui esita nel dare la risposta.
— Ero convinto tu fossi in questa classe da sempre ma ora che ci penso non ho veramente idea di chi tu possa essere. —
Ah bene, perfetto. Fantastico. Lo ringrazio e mi alzo chiedendo in giro se le persone si ricordano di me, persino alla bionda. Parlandole per pochi secondi noto che ha due occhi azzurri veramente stupendi. Sorprendentemente ricevo sempre la solita risposta: sembra di riconoscermi ma in realtà non hanno idea di chi sia. Sono stupefatto. Cosa significa? Vuol dire che non sono solo io ad avere perso la memoria della mia identità ma tutti. Nessuno, compreso me stesso, si ricorda di chi sono. Una forte presa mi blocca, il ragazzo vestito elegante dall’accento francese mi ha afferrato il braccio senza dare spiegazioni. È incredibilmente forte, sembra di essere incastrato a una montagna.
— Devo parlarti. — Mi dice apatico. Sotto pressione mi agito e distolgo lo sguardo, noto che il ragazzo dai capelli neri nell’ombra ci sta guardando incuriosito.
— Non credo di volere, in realtà. — Dico agitato.
— Non essere stupido, è importante. — Mi risponde senza emozioni. Piatto, apatico, con un solo occhio dato che l’altro è coperto da una frangia tinta di rosso. Prima di trovare il tempo di rispondere in classe entra una signora di mezz’età dagli occhiali spessi e un incredibile doppio mento.
— Forza, ragazzi, che ci fate in piedi? Subito ai vostri posti. — Ci dice con voce severa ma allo stesso tempo cordiale. Oh, grazie probabile professoressa, grazie mille. Torniamo ai nostri posti mentre lei si avvicina alla cattedra. — Di chi sono queste riviste piene di uomini che abbracciano pupazzi? Ah, ma certo, dev’esser stato il professore di sociologia. Sempre stato uno smemorato dai gusti ambigui. — Mentre fa ordine e di soppiatto infila una rivista nella sua borsa io sono immerso ancora nei miei pensieri. Cosa vuole il francese da me? Mi fa venire i brividi.. e quel ragazzo nell’angolo, vestito di nero, presto anche lui arriverà da me. A un certo punto un pensiero totalmente irrilevante mi salta in mente: professore di sociologia? Ero convinto insegnasse storia, dato che ha fatto solo domande di questa materia.
Dopo un po’ invece capisco che questa professoressa, che dal doppio mento e occhiali spessi mi ricorda terribilmente una rana, insegna storia e italiano. Sembra molto gentile e disponibile ma soprattutto è coerente come insegnante, non si inoltra in un’approfondita lettura di riviste casuali. Oltretutto io non so proprio cosa fare, vorrei seguire la lezione ma a quale scopo? Teoricamente ho cose molto più importanti da pensare. Per esempio alla mia amnesia, al fatto che nessuno si ricorda di me o che cosa vuole l’elegantone francese. Passano ore e ormai è l’una. Non ho fatto che pensare a come reagire, come evitare di parlargli o che scusa inventare quando poi ho deciso che per quanto mi faccia accapponare la pelle non dovrebbe finire male, quindi sì, lo ascolterò.
Quando suona la lunga acuta campanella la professoressa ranocchio e tutti gli studenti si preparano e se ne vanno, eccitati. Resto a guardare la bionda mentre se ne va, ormai non riesco a fare a meno di fissarla, ma mi diverto anche a osservare tutte gli strambi eppure fin troppo comuni studenti della classe. Ovviamente il tipo francese non se n’è andato, mi guarda aspettando che io gli rivolga la parola.
— Ebbene, cosa volevi dirmi? — Trovo finalmente il coraggio di parlargli.
— Ho notato che hai parlato con tutti tranne con me. — Il suo accento francese è forte ma comprensibile. È seduto con le braccia incrociate, quasi pensieroso. —E non riesco a credere che tu non l’abbia chiesto alla
persona giusta. —
Persona giusta? Sa chi sono! Sono riuscito ad arrivare alla soluzione del mio problema così presto, quasi non posso crederci.
— Non so chi tu sia, anche se mi lasci un certo senso di deja-vù —
Ah, lui e i suoi termini francesi! Ma se non sa chi sono cosa intendeva con “persona giusta”? Lui mi guarda col suo occhio apatico, e se solo fosse stato un minimo estroverso mi avrebbe permesso di capire tutta l’emozione che gli scorre nelle vene. — Però.. — E invece no, lo capisco solo dal suo sommesso — Neanche io ricordo chi sono. —
In quel momento suona ancora la campana, l’effetto sorpresa è paragonabile a una doccia d’acqua fredda, come il cliché dell’allarme antincendio americano, uno spruzzo continuo freddo e silenzioso.
Il suono strillante della campana copre ogni mio pensiero e mi lascia in silenzio, ci guardiamo e restiamo immobili.
— Non ti sembra strano? — Mi chiede.
— Guarda, se dovessi elencare le cose che mi sembrano strane oggi non finirei più. — Dico sconsolato. Lui quasi mi ignora e con naturalezza continua — Neanche io ricordo il mio nome e finalmente trovo qualcuno con lo stesso problema. Ascoltami, è inutile chiedere in giro, non avrai nessuna risposta. È come se il ricordo della tua persona fosse stato cancellato, resta solo il tuo corpo senza identità. — Mi dice terribilmente serio. — Capisco. — Rispondo io pateticamente. Diamine, ti sta aiutando, sta facendo un discorso intelligente, che ti costa riuscire a essere al suo pari? Non mi esce mai nulla di buono. Annuisco anche con la testa.
— Ma mi stai ascoltando? Dove ti sei svegliato oggi? —
Che diamine dovrei dirgli? La mia mente è confusa, piena di immagini, di stupidaggini, della bionda, dell’insegnante, del rosso, della bionda, bellissima, della scuola, del cancello, del mio letto con i cavi, della televisione rotta.
— In una casa completamente vuota. — Dico io cercando di concentrarmi.
— Anche io. — Risponde immerso nei suoi pensieri che vengono presto interrotti da un grasso bidello. L’uomo, più largo che alto, tuona con imprecazioni e bestemmie esortando ad allontanarci per permettergli di proseguire il suo lavoro. Decidiamo di allontanarci quando mi viene in mente una cosa.
— Noi due siamo nella stessa situazione, no? Aiutiamoci, diventiamo amici. — Gli porgo la mano. — Immagino si possa fare. — Risponde lui soddisfatto e stringendomela.
— A proposito, come ti chiami? — Gli chiedo.
— Ne so quanto te. — Risponde

giovedì 16 giugno 2011

Minecraft concept

Mi hanno offerto la possibilità di stare da solo in un mondo tutto mio. Tutto nelle mie mani. Ho deciso che, sì, va bene, accetto l’offerta anche se non so chiaramente né di che si tratta né tantomeno di perché ho accettato. Dopo un breve protocollo e una medicina mi addormento.
Poi apro gli occhi. Mi trovo in una spiaggia, in un’isola piena di rocce e alberi. I gabbiani cantano, scimmie squittiscono, addirittura ci sono mucche e pecore che pascolano. La prima cosa che scopro è che è tutto nelle mie mani: riesco a ottenere enormi e solidi blocchi di sabbia praticamente alti quanto me, riesco a spostarli facilmente e in breve – come ogni creatura dotata di un minimo senso di sopravvivenza – ho costruito una mia tana, una casa fatta di “solida sabbia”. Mi è già chiaro di trovarmi in un mondo alternativo. Faccio ancora un giro, l’acqua del mare è fresca e mi bagna i piedi. Raccolgo tante cose: legna, fango, rocce, piante. Spinto da una frenesia incontrollabile comincio a costruire un edificio ancora più grande, fatto di materiali più disparati, senza mobili. Nel silenzio entro in pace, concentrato nella semplice azione di costruire.
Il sole cala velocemente, presto mi ritrovo al buio. Il paesaggio è a malapena illuminato dalla luna. Lì mi accorgo che qualcosa non va. Inizialmente ho creduto ci fossero altre persone. Umani nella mia isola, mi ha reso quasi furioso. Invece non sono umani. Sono esseri, sì esseri e non persone, uguali a me. Con i miei stessi vestiti ma con la pelle verde, il volto completamente distorto, lugubre, disgustoso. Uno ha quasi cercato di assalirmi e son dovuto scappare, mi sono rifugiato nella casa, chiudendomi dentro per bene.
Il giorno dopo le creature non ci sono più. A terra riesco a vedere i miei barra loro vestiti, pieni di cenere. Allora decido di attrezzarmi meglio. Prima di tutto costruisco un piano da lavoro: un tavolo su cui creare tutti gli oggetti più o meno utili. La prima cosa che faccio è una lunga spada, se la si può chiamare così, della roccia mista a legno ma almeno mi sarà utile per difendermi. Poi un piccone. Con questo potrò ottenere altra roccia o magari ferro. Quindi piccono per tutte le montagne, creando tunnel e caverne. Trovo del carbone, con cui riesco a creare delle torce. Scavo e creo, più a fondo vado più torce devo appendere per farmi luce. Quando esco, pieno di materiali, è già sera. Mi rifugio nella piccola casupola, aspettando il sole.
Quando i mostri sono spariti mi metto all’opera: tutto il materiale che ho raccolto lo uso per costruirmi un vero e proprio castello, una fortezza impenetrabile piena di torri. È ancora piccola ma soddisfacente, a due piani, con luce e scale, armi improvvisate o costruite.
Ma questo non mi basta. Il giorno dopo scavo ancora, più in profondità possibile, trovando finalmente minerali utili. Riesco presto ad ottenere picconi e spade di ferro. Ogni tanto sento un cupo ringhio, una voce debole lamentarsi. Sono le voci dei mostri che mi perseguitano. Vuol dire che vivono sotto terra ma ancora non ne ho incontrato uno. A un certo punto, non me l’aspettavo, sbuco in una caverna. È buia, per esplorarla devo camminare di fianco ai muri e poggiare continuamente nuove torce. Mi imbatto in un fiume di lava e, come mi aspettavo, altri miei cloni che cercano di assalirmi. Ma io sono preparato e riesco a difendermi bene.
Giorno dopo giorno uso i materiali per costruire un castello sempre più grande, torri altissime, capanne. Mi diverto. Espando il mio territorio con gli edifici, mi diletto nel costruirne sempre di nuovi, diversi, particolari. Dopo un mese mi chiedo.. che senso ha? Perché sono qui?
Sono come una formica, troppo presa a lavorare, a costruire. Ma qual è lo scopo della mia vita?
Voglio andarmene..

sabato 7 maggio 2011

XVIII La Luna

EEEEEE QUESTA E' UNA FAN FIC SU POKEMOOON *OOO* Ma ci credereste mai? Io? Fan fic? Ohohoh ma non è ciò che vi aspettate! Godetevela e, mi raccomando, commentate! :3





XVIII La Luna

- Non lo sai che fumare fa male? -
- Vuoi che spenga la sigaretta o che faccia rientrare Sole?
- Entrambe! Ma quel cazzo di Weezing mi sta impuzzolendo tutto il negozio.
Me ne vado senza degnarmi di rispondergli. Del resto è stato sgarbato con me per tutto il tempo. Sole, il mio Weezing e Forza, il mio Arcanine, mi seguono allegri godendosi la fresca aria invernale. Beh forse Sole no, dato che è composto solo da gas velenoso. La città in cui mi trovo è silenziosa, tutti sono di fretta. Non ci sono neanche tanti pokemon in libertà, gli unici che ho visto fin ora sono un piccolo gruppo di Pidove e un Mimehe puliva la vetrina di un negozio. Per il resto è tutto freddo. Ma non ho intenzione di fermarmi qui a lungo. Questa città è proprio accanto una foresta piuttosto grande dove, ho sentito, si aggira qualche Sawsbuck selvatico. Ho deciso che sarà il mio terzo pokemon. Non ci metto molto a raggiungerla, tra qualche tratto d'autobus - dove sono stato costretto a ritirare i miei amici nelle pokeball - e una lunga passeggiata. Ma rimango parecchio deluso, non faccio che incontrare Oddish e Shroomish. Mentre divoro uno dei tanti panini che ho comprato al bar mi imbatto in un piccolo edificio particolare. E' di pietra, grosso all'incirca.. quanto, venti metri quadri? Ma la cosa interessante è che è in parte crollato. Fa molto "vecchio rudere", voglio assolutamente esplorarlo. Non trovo niente di veramente utile tranne qualche mobile rotto e quadri vuoti finché non sento dei rumori soffusi. - Ehi! - Sento - Da questa parte! -
La voce si rivela essere di una ragazza nascosta dietro la porta di quel che sembra un bagno. - Aiutami - Mi dice - Ti prego aiutami. - Oh, Dio, in effetti la porta è rotta, una montagna di macerie blocca il passaggio. - Lascia che ti dia una mano. Tutti i miei tentativi sono vani. In alto si intravede una piccola finestrella dove si affaccia la ragazza. - Hai qualcosa da mangiare? Per favore.
-Ma certo, lascia che ti passi un panino. Ti piace il tonno? - Ma troviamo qualche difficoltà a passarci il cibo. La finestra è troppo in alto persino se mi alzo in punta di piedi, mi chiedo lei come faccia ad affacciarcisi. Probabilmente è su qualche mobile.
- Nessun problema, aspetta. - Un piccolo spettro fa capolino dal muro, un esemplare di Banette che suppongo sia capace di oltrepassare qualsiasi ostacolo fisso. Bene, un aiuto in più non fa mai male, per fortuna ha un pokemon del genere. Poi silenzio. - Allora, com'è che sei finita in questo guaio? - Forza è seduto a terra noncurante, guarda un punto imprecisato della casa ansimando con la lingua a penzoloni. - Non lo so. Ero qui ed è crollato tutto. Cercavo tanto del cibo, grazie ma non basta. Hai ancora? - Perplesso dono un altro panino alla ragazza, sarà da tanto che non mangia. - Allora, come ti chiami? - Lei per un attimo non risponde, come se dovesse pensarci un attimo. O forse sta semplicemente mangiando? - Mi chiamo Luna. - Oh, Luna. E' u nome molto carino. - Intanto Sole mi sembra più che irrequieto. Oltretutto puzza più del solito. - Da quanto tempo sei bloccata? - - Ah, siamo ferme da settimana. Non ce la facevamo più. - - Cosa? C'è qualcun altro con te? - Sì. C'è la mia amica. Adesso sta dormendo. - Cosa? Sicura che sta bene? - Sì, certo, ma la sto facendo mangiare. Mi dai altro? Non basta. - Che cazzo significa? Ti faccio uscire da qui subito. - Dò uno sguardo eloquente ai miei pokemon. - Siete pronti? Attaccate la porta, dovete romperla. -
Non se lo lasciano ripetere, con numerosi spintoni riescono ad abbatterla. Cade della polvere, quasi mi acceca ma non mi tiro indietro. Trovo subito la ragazza stesa a terra e mi affretto a prenderla quando mi accorgo che è terribilmente fredda. E' morta.
Appena la polvere si dirada mi accorgo di cos'è successo. C'è solo una persona qui, deceduta da un pezzo. La gola è gonfia e rotonda, fa schifo, sembra stia per scoppiare e dalla bocca aperta si vede l'estremità di un panino. Puzza da far schifo. La padrona di Banette è morta di fame intrappolata nel bagno, il pokemon essendo uno spettro non era capace di aiutarla ad aprire la porta fisicamente. Gli spiriti sono capaci di spostare cose discretamente leggere. - Quando era viva ha detto che aveva fame, vero? Per questo hai cercato di darle del cibo.. ma Banette, lei è morta. Hai solo riempito la sua gola con dei panini ma non la riporterà indietro. Sei uno spettro, dovresti saperlo. Perché l'hai fatto? Come fai a parlare? Ti rendi conto di cos'hai fatto?
Ma Banette da allora non parlò più. In compenso, però, ha cominciato a seguirmi ininterrottamente così da costringermi a recuperare la sua pokeball originale, nella tasca del cadavere. Tra l'altro, il corpo l'ho lasciato per terra così com'era. Non avevo voglia di andare nei casini, mi dispiace per Banette. Ah no, si chiama Luna.

sabato 2 aprile 2011

Mangiami

Guardo il corpo del mio migliore amico, Dario, che dorme beato. Ormai sono sei mesi che è in coma, non riuscirò mai a farci l’abitudine. Che fine ha fatto il nostro trio? Parlare di ragazze fino a notte fonda con Dario e Akrahm. Quest’ultimo è morto misteriosamente. Sembra che si sia appisolato sul letto e la morte l’ha preso in silenzio. Loro due erano una coppia fantastica, il modo in cui sono finiti è quasi poetico. Decido di andarmene. I genitori di Dario mi ospitano per qualche giorno, apprezzano molto il fatto che venga a trovarlo ogni mese. E Valeria? La ragazza di Dario si è ripresa dall’incidente ma poi è scomparsa, improvvisamente.
Uscendo dalla porta mi imbatto in una ragazza molto carina. — Oh, tu sei Marco, vero? —
È ispanica, porta dei vestiti quasi aderenti che mi permettono di intuire il suo fantastico fisico.
— Io mi chiamo Rosita. Sono un’amica di Dario. Lui mi ha parlato molto di te. Mi dispiace per quello che è successo. —
— È dura.
— Allora.. ti lascio in pace, vado.
— Aspetta, perché non scendiamo a bere un caffè?
Il bar dell’ospedale svolge un servizio pessimo ma non accetto l’idea di perdere un’occasione come questa. Parliamo per più di un’ora di Dario, sembra che si conoscessero bene ma adora sentire le storie su ciò che abbiamo passato. Mi accorgo che si sta facendo troppo tardi e, sfortunatamente, le dico che devo andare ma lei mi ferma. — Perdonami per quanto sono sfacciata ma potresti venire da me, ho la casa libera per quasi una settimana. Non credi che sarebbe una buona idea? —
Ah ah dannate ragazze ispaniche, sempre un passo in più davanti agli uomini. Le dico che è una buona idea. Andiamo insieme in macchina a casa di Dario, dove posso prendere i miei bagagli e non facciamo che parlare. Questa volta l’argomento è ampio e finisco inevitabilmente per conoscerla meglio. Sorprendentemente, però, Rosita non vuole incontrare i signori De Carlo. — Mi fa star male solo l’idea, lasciamo stare. Ti aspetto in macchina. —
La famiglia era grosso modo dispiaciuta ma non hanno fatto troppe domande. Il viaggio in macchina, poi, si rivela molto lungo. Dopo aver preso l’autostrada ci ritroviamo in una stradina piccola e sinuosa. Soprattutto non c’è traccia di un lampione.
— Mi dispiace doverti far fare questa strada un po’ pericolosa ma abito lontano, in piena campagna. —
— Vuol dire che se ti farò urlare questa nessuno ti sentirà.
Lei ride e mi guarda divertita. — Prima decidiamo chi dei due sarà a urlare, poi ne parleremo.
Non parliamo più di argomenti del genere e mi concentro nella guida. Mi sorprende sapere che ha risposto a una insinuazione simile con tanta tranquillità. Che donna. La sua casa è un piccolo edificio in campagna, noto anche una piccola stalla. Attorno ci sono solo alberi.
— Avresti dovuto avvisarmi che sarei finito in una catapecchia, mi sarei dovuto preparare.
— Ehi, che discorsi sono questi! Poi tu vieni dal sud, dovresti essere abituato a paesaggi simili.
— Ah ah. In realtà no, comunque scherzavo.
— Indubbiamente.
La prima cosa che fa una volta entrata in casa è spogliarsi e gettarsi sul divano, invitando a unirmi a lei. Non me lo faccio ripetere. Forse devo smetterla con questi stereotipi razzisti ma questa Rosita è tremendamente caliente! Mi sembra di venir mangiato e divorato mentre lo facciamo, lei è passionale e soprattutto calda. Il corpo è bollente e quando la tocco spesso rabbrividisce — Le tue mani sono gelate. — Sussurra tremando.
Non ho mai provato nulla di tanto eccezionale. Poi lei urla, cazzo. Praticamente strilla dal piacere e questo mi lascia senza fiato. Il finale è qualcosa di stratosferico, fuochi d’artificio nell’eruzione di un vulcano. Non abbiamo neanche la decenza di infilarci nel letto e dormiamo senza più dirci una parola.
Mi sveglia ciò che apparentemente sembra un gallo, entrato chissà come in casa. La porta è aperta e lei è ancora nuda e prepara il caffè. — Buon giorno — Le dico, la prima cosa che faccio è prendere una sigaretta e accenderla. — Buon giorno un cazzo. Sai cos’è successo questa notte? Mi è morta un’altra capra. —
Una volta vestiti usciamo fuori. Un gregge di pecore vaga tranquillo nel recinto, ieri non mi sono accorto di una cosa del genere. Una di loro è a terra completamente essiccata, dalla gola e sul sesso si intravedono tagli netti. — Che cazzo sarà stato, un lupo? — Mi avvicino alla carcassa per esaminarla. — Non ci sono lupi qui. Sinceramente non so quanto voglio saperlo, poi. Spero sia l’ultima volta che accada.
— È successo altre volte?
— Sì, ma se è qualcosa di davvero pericoloso preferisco che si prenda tutte quelle bestie e poi ci lasci in pace.
Mancano due giorni prima della mia partenza ma spero che passino lentamente. Lei mi fa assaporare questi momenti nel modo più intenso possibile. Ci capita di fare ancora l’amore più volte mettendomi addirittura in difficoltà. Ma ha vissuto reclusa per così tanti anni per essere così affamata? Si dimostra anche un’eccellente cuoca, una donna perfetta, anche se mangia molto poco. Arriva la sera e lei mi saluta con un bacio prima di andare a farsi la doccia. — Resta qui, mi raccomando. Sappi che non mi piacciono gli uomini che curiosano a casa mia.
— Non mi muovo di qui, tranquilla. Ce l’hai la tv?
— No, non sono mai stata una grande fan della televisione. Avresti dovuto portarti qualche libro. —
— Odio leggere. — Probabilmente neanche mi ha sentito, si è chiusa già nel bagno. Dopo almeno mezz’ora decido di starmi annoiando fin troppo, mi sgranchisco le ossa e mi alzo, deciso a curiosare. Se lo faccio fuori da casa sua non sarà un problema, vero?
In realtà sono un po’ stupito sia della casa che del luogo in cui si trova. È relativamente piccola e soprattutto è troppo lontana dai centri abitati. Davvero lei e la sua famiglia vivono qui da soli? Una cosa già attrae la mia attenzione: un’accetta per tagliare la legna. La afferro e fingo di sferrare qualche colpo. Così se quei lupi appaiono ancora so come allontanarli.
Do un’occhiata alle pecore. La mattina fanno molto rumore ma ora sono particolarmente silenziose. La scena mi stupisce. Tutte le bestie sono radunate in cerchio, una di fianco l’altra e immobili, come ipnotizzata. Guardano qualcosa al centro del cerchio che hanno formato.
È buio, non ci sono lampioni, l’unica luce che mi permette di vedere è la potentissima luna che si staglia nel cielo. C’è una pecora a terra che si agita lentamente. Lei riesco a vederla perché è molto chiara, scorgo macchie scure sulla gola e tra le zampe. Sopra non mi è esattamente chiaro cosa ci sia. Una sagoma nera è accovacciata sulla sua preda. — Ehi! — Urlo, capendo di aver trovato il lupo. Questo emette un lungo sibilo e scappa in un modo fin troppo agile. Lo seguo finché non entra in un altro piccolo edificio di fianco la stalla, dalle grosse porte di legno. — Adesso ti finisco io. — Apro la porta, l’unica cosa che vedo è una finestra aperta in alto. — Che cazzo stai facendo? —
Rosita è apparsa dietro di me, nuda sotto l’accappatoio per quello che posso capire.
— Il lupo, o qualsiasi cosa sia è entrato in questa capanna. È la nostra chance per fermarlo.
— Assolutamente no! Via, andiamocene — Prende la mia mano e tira finché non siamo a casa.
— Potrebbe essere pericoloso. Prima di tutto non c’è luce la dentro, come speri di difenderti da una cosa che nemmeno non puoi vedere? Davvero, pensarci mi fa venire i brividi. Lasciamo la porta aperta e speriamo che entro domani se ne sia andato.. Fammi questo favore, non pensarci, davvero. Se poi le pecore moriranno tutti sarà un motivo in più per convincere mio padre a trasferirci in città. —
Le sue argomentazioni mi bastano e, anche se molto in disappunto, accetto e resto in casa. Dopo aver fatto per l’ennesima volta l’amore restiamo stesi per terra a guardare il soffitto, lei forse già sta dormendo. — Rosita? Cosa c’è in quel capanno?
— Niente d’interessante, solo fieno.

Mi sveglio ancora. Come al solito lei è nuda e prepara il caffè. — La bestia non c’era più, per fortuna. Mi toccherà seppellire un’altra pecora ma va bé. —
— Ma tu non cambi mai vestiti? Indossi sempre i soliti.
— Oh ma non rompere.
Questo è l’ultimo giorno in cui starò al nord, dopodiché tornerò a casa. Domani ho un aereo che mi aspetta. Esco fuori di casa per fotografare il paesaggio, una marea di alberi che non sono abituato a vedere sarà un bel ricordo da portare a casa. Non riesco a fare a meno di guardare il cadavere di pecora a terra. Ciò che ho visto ieri non era normale. Mi viene un’idea.
Tiro fuori il telefono e digito un numero. Dopo numerosi squilli sento una voce femminile.
— Marco?
— Kami, posso parlarti?
— Ti sento malissimo, cos’hai detto?
— Voglio chiederti una cosa, posso?
— Veramente sarei molto occupata, è urgente.
— Tu che sei una biblioteca sul paranormale, sai dirmi cosa può ipnotizzare pecore per poi succhiarle vive?
Inizialmente sento silenzio e qualche disturbo ma poi — Dovrebbe essere il Chupacabra. Hai a che fare con una cosa del genere? Stai molto attento, non si limita a.. —
Ma la chiamata si chiude. Il telefono indica che non c’è linea. — Dannazione. —
Improvvisamente un’idea colpisce la mia mente. Rosita è dietro di me. — Ehi, cosa c’è? —
Mi allontano. — Credo sia una buona idea che io me ne vada. Adesso. —
— Ah, volevo parlarti appunto di questo. Non so cosa sia successo ma la tua macchina ha le ruote bucate. Dovremmo aspettare mio padre prima di..
— Tu non hai un padre.
— Cosa stai dicendo?
— Tu non hai un padre, questa non è casa tua, tu non sei un essere umano.
Lei mi guarda in silenzio.
— Mi sbaglio, el chupacabra?
Lei allora comincia a ridere. Prima era un leggero singhiozzo ma poi si piega in due dalle risate. — Tu sei folle, davvero.
— Non ti cambi perché non hai vestiti. Non vuoi che io vada in giro per la casa perché potrei capire che non è tua. Non c’è una foto della famiglia che sia una. E poi? Quando vedo la bestia tu non ci sei, e quando lei scappa tu improvvisamente appari. Cosa sei esattamente? Cosa vuoi? —
Lei non mi risponde, semplicemente corre contro di me e mi salta addosso. Io cado a terra, vado a sbattere da qualche parte, non so dove, ma la gamba mi fa un male boia. Lei mi dà un pugno in faccia, mi sento stordito. Poi si alza e mi trascina per la gamba finché non raggiungiamo il capanno. Ovviamente lì non c’era solo fieno. Cadaveri di pecore e uomini fungevano da decorazione, tutti sgozzati e nudi, con una grossa ferita sanguinolenta al posto del sesso. — Bravo, sei stato molto bravo a capire chi sono ma è stato un’errore. Se non avessi usato la testa ma solo il pisello come maggior parte degli uomini avresti passato il tuo ultimo giorno da vivo godendotela.
— Come ha fatto Dario a non accorgersi di ciò che sei?
— Io quello lì non lo conosco. Un uccellino mi ha consigliato te come ottima preda e aveva ragione. — Avvicina il suo volto al mio collo, assaporandolo solo con lo sguardo.
— Perché sei venuta addirittura a cercarmi? Che vuol dire “ottima preda”?
— A me non basta cibarmi di sangue e carne. Ho bisogno di emozioni! La forza dell’erotismo è ciò di più fantastico che c’è al mondo, non riesco a farne a meno. E le tue emozioni sono forti, possenti, mi rendono piena.
— Ti prego..
— Mi spiace, non hai scampo. — Mi bacia. — Dopo averti succhiato tutto il sangue che hai, fino a renderti uno scheletro. Infine mangerò ciò che ti ho fatto usare in questi giorni ininterrottamente. L’unica cosa che dovresti dirmi è — Sussurra all’orecchio — buon appetito. —

sabato 19 marzo 2011

Sognami

— Ho fatto un sogno strano, sai? In pratica ero in una grandissima festa patronale, piena di palloncini e bancarelle. Allo stesso tempo era anche Halloween, quindi tutti si travestivano. Io non ero vestito da nulla, ma come al solito ero interessato nel cercare nuove conoscenze. E con conoscenze ovviamente parlo di ragazze, ah ah.
Beh per la strada ho visto una famiglia, una madre piuttosto anziana con dei palloncini e dei bambini che avranno avuto sui cinque o sei anni.
Lì vicino, c’erano due o tre ragazze. Una era bellissima, ricordo, ma non riuscivo a focalizzare il suo volto. Era vestita da strega, aveva il classico cappello a punta e un mantello viola.
Ricordo che ero interessato a lei. Abbiamo parlato un po’ ma non ho la minima idea di cosa ci siamo detti. Poi lei mi passa un biglietto, un vero e proprio biglietto da visita. Conteneva la sua e-mail, e in su c’era qualcosa scarabocchiato. Ma non ricordo cosa..
È stato orribile perché quando mi sono svegliato non mi sono più ricordato nulla, avrei dovuto segnarmi la e-mail appena sveglio e poi provare a contattarla. Magari avrebbe funzionato. —
Sul letto Akrahm guarda il soffitto, ascoltando tutto senza fiatare.
— Credi che quel contatto esista davvero? —
— Sarebbe fantastico, no? —
Abbiamo cambiato discorso abbastanza in fretta e non ci abbiamo più pensato. È ottobre, è appena cominciata la scuola ma non riusciamo proprio a studiare, quindi ci incontriamo ogni pomeriggio a casa sua per giocare con la PSP. Dopo ore di gioco Marco viene a trovarci. Sapendo guidare il motorino è libero di vagare e venire a trovarci quando vuole.
— Sono contento di non lavorare più, è stato estenuante. — Dice Marco.
— Ed hai anche uno scooter, cosa puoi avere di più dalla vita? — Gli rispondo.
Racconto il sogno anche a lui, e mi è parso interessato. Mi ha consigliato di parlarne con Kami, la mia ex ragazza. Lei è sempre stata interessata al paranormale, ricordo che le poche volte che ci incontravamo ne discutevamo parecchio. Purtroppo essendo una relazione a distanza è finita presto, ma potrei contattarla in chat e chiedere consigli.
La sera stessa la trovo connessa, e la contatto. Dopo i soliti convenevoli, “ciao” “come stai” “com’è il tempo da te” vengo al dunque e le racconto il sogno.
— Trovo significativo il fatto che quella ragazza abbia cercato di contattarti in questo modo, ma potrebbe benissimo essere un parto della tua mente, sai.
— Secondo te cosa potrebbe significare?
— Che gusto c’è se te lo dico io? Il sogno è tuo, quindi è tuo anche il subconscio. Devi capirlo da solo.
Con disappunto la ringrazio e non ne parliamo più.

Busso alla porta di Akrahm. L’ascensore è rotto e fare cinque piani a piedi è stancante, soprattutto con questo fottuto caldo da ferragosto. Il mio migliore amico apre la porta, ma è al telefono. Io intanto entro come se niente fosse, dopo tanti anni passati insieme abbiamo una certa familiarità.
— Dai patatina, è arrivato Dario. Ci sentiamo dopo, ok? Ciao piccolina, ciao.. —
Vedo che la sua chitarra è fuori posto, e gli chiedo — Ti stai esercitando eh? —
— Sì, è da stamattina che provo. Ho in mente una canzone sto cercando di suonarla.
— Come mai ci stai provando tanto duramente?
— Perché ho fatto un sogno particolare. Ti va se te lo racconto?
— Se sono qui è perché non ho altro da fare. — Dico scherzando.
— Beh ero in casa del mio vicino, non so perché. Sul divano c’è una ragazza molto carina che suona la chitarra con i piedi.
— Eh? Stai scherzando spero.
— Non prendertela con me, è soltanto un sogno. Però era straordinariamente brava, e quando io le chiesi dove avesse imparato lei mi ha risposto “ho imparato da Kami”.
Assurdo vero? Mi sono seduto sul divano con lei ed abbiamo chiacchierato del più e del meno, non ricordo di cosa abbiamo parlato nello specifico. Poi ci siamo baciati appassionatamente, all’improvviso. È stato fantastico, e ci siamo stesi sul divano abbracciandoci. Poi lei mi ha dato un biglietto con su scritto la sua email, dopodiché mi sono svegliato. —
— A parte il dettaglio dei piedi mi sembra.. interessante.
— Perché?
— Com’era fatta?
— Beh era vestita tipo rockettara, sarà stata poco più bassa del mio mento quindi un metro e sessanta penso. Capelli castani scuri fino alle spalle, occhi chiari e molto carina. Come mai? Cosa ti è venuto in mente?
— Avanti, ricordi che.. sette otto mesi fa ho sognato una ragazza vestita da strega che mi ha dato la sua email su un bigliettino? Era castana, capelli fino alle spalle e molto carina. Potrebbe esserci un collegamento, non ti pare? —
I primi cinque minuti è stato un po’ scettico, ma poi ha abbracciato la possibilità che possa esserci un qualche collegamento.
— L’hai raccontato a Cristina?
— No, chissà come la prenderebbe.
La sera mi connetto sul forum di Kami, “Sussurro Spettrale”. Lo frequento perché ci sono persone interessanti e si parla molto di paranormale. Stavo discutendo con Darkness sui diversi tipi di entità spiritiche.
— Oltre all’essere carnale e l’essere spiritico, esiste un terzo essere che vive nel mondo dei sogni. Il mio fantasma custode mi ha raccontato che è praticamente impossibile entrare in contatto con loro, anche per gli spiriti. Si cibano di energie forti e solo loro possono decidere quando entrare in contatto con un essere umano. Si dice che quando un essere del genere arriva nel tuo sogno quasi lo avverti, capisci che è un essere esterno.
— Perché dovrebbero entrare in contatto con essere umani?
— Per cibarsi di energia! Apparendo in certi modi nel sonno, possono provocare emozioni tanto forti da produrre energia con cui possono cibarsi.
— Sembra interessante, hai mai incontrato un’entità del genere?
— A dire il vero no.

Sullo schermo appare la mia ex ragazza. Bionda, occhi azzurri, viso da bambola. In genere è molto fredda ma con me è sempre gentile. In basso a destra un piccolo quadratino con il mio volto. Stiamo parlando in webcam, lei mi fa vedere le sue nuove carte. — Visto? Direttamente dalla Germania, sono nuove di zecca e fatte a mano. —
Tarocchi. Mi sono offerto di fare da “cavia” per la sua prima lettura con queste carte che secondo lei saranno “quelle giuste”.
— Allora, cosa vuoi sapere del tuo futuro? — Mi sorride misteriosa.
— So di essere scontato ma dimmi un po’ della mia situazione amorosa da qui a qualche anno. Facciamo cinque, o sono troppi?
— Niente è troppo per me, tranquillo.
Lei mischia le carte ripetutamente, sembra concentrarsi. Lei stessa mi ha insegnato a leggere i tarocchi, anche se non sono bravissimo so come funziona. Posiziona le carte coperte in una forma particolare, che non ho mai visto usare prima. — Che stai facendo? Non è la posizione che mi hai insegnato.
— Ognuno dovrebbe adattare il metodo di lettura secondo le proprie esigenze. Forse dalla webcam non si capisce ma ho segnato la forma di una coppa.
— E quindi? Aspetta, non me lo dire, forse lo ricordo. Gli elementi, giusto? La coppa simboleggia l’elemento dell’acqua. Ma non riesco a capire cosa c’entri comunque.
— Nella cartomanzia l’acqua rappresenta i sentimenti e l’amore. L’oro, la terra, rappresenta gli avvenimenti finanziari o comunque tutto ciò che c’entra con i soldi, mentre il bastone, simbolo del fuoco, viene collegato al lavoro. Infine la spada, l’elemento dell’aria, simboleggia gli avvenimenti negativi, la sfortuna, gli infortuni. È un simbolo molto negativo.
— Sono anche i simboli delle carte napoletane, giusto?
— Sì? Da me si chiamano carte bergamasche.
— Immagino che il nome cambi dalla regione allora. Quindi hai formato la sagoma di una coppa per poter leggere il futuro nell’ambito amoroso.. ma solo questo funzionerà?
— Finché qualcuno attribuisce un significato a un simbolo, questo avrà potere. E siccome erano segni fondamentali in passato, sicuramente hanno un potere più ampio di quanto tu possa pensare.
— La lezione è finita — Le sorrido — Proseguiamo?
Lei ride. — Sai che odio insegnare ma quando mi viene voglia non la smetto più. Adesso scoprirò le tre carte iniziali che indicano il bordo della coppa, queste rappresenteranno la situazione attuale. Mh, interessante.
— Cosa?
— La prima carta uscita è la tredicesima: la morte. Non devi preoccuparti però.
— Certo, lo so. La morte non rappresenta necessariamente la fine della vita, indica anche il cambiamento, vero?
— Esatto, o meglio un cambiamento radicale. Non saprei dirti in che modo cambierà questa relazione, potrebbe essere in meglio oppure vuol dire che non ha proprio futuro.
— Rassicurante.. andiamo avanti.
— Certo, la lettura non è ancora finita. Dobbiamo vedere le restanti due carte. Oh, l’appeso e la torre. Non mi sembra nulla di buono, vuoi che continui?
— Sì, per favore.
— Le tre carte insieme dicono che qualcosa cambierà ma, nonostante gli sforzi e l’impegno per tenere costante la relazione questa finirà in catastrofe. La torre non è mai nulla di buono. Vediamo adesso la base della coppa; il futuro prossimo. Oh, il carro, l’eremita, il bagatto, la forza. Niente di che, la tua relazione attuale sembrerebbe durare ancora per un po’ in ogni caso.
— Meno male.
— Passiamo alla singola carta che rappresenta lo stelo della coppa, indicherà il mezzo con cui arriverai alla situazione finale, praticamente tra quattro anni, e al tuo possibile amore.
Oh, il matto! Non potevo aspettarmi diversamente da una persona avventurosa come te, sempre nei posti più disparati. Sì, avventurandoti riuscirai a raggiungere.. fammi scoprire le ultime tre carte. Oh!
— Cos’è successo?
— La carta degli amanti mi è sfuggita di mano, cadendo in orizzontale. Potrebbe non significare niente, oppure.. dovrei prendere in considerazione entrambi i versi di lettura della carta?
— Vuoi dire che dovresti leggere la carta sia per il significato originale che per quello che avrebbe se l’avessi trovata capovolta?
— Esattamente, ma non darlo per certo. Non ho avuto possibilità di vedere come era posizionata originariamente quindi teniamo in mente entrambi i significati. Gli amanti indicano l’amore, o anche la comunione e la complicità con una persona. Al contrario però simboleggia i litigi, gli scontri, la gelosia e il tradimento. Stai attento. La seconda carta è la giustizia capovolta, questo non è un buon segno. Sta ovviamente a significare che questo ultimo amore coinvolge l’ingiustizia e la gelosia, se non addirittura tradimenti. L’ultima carta è l’imperatrice. Questo sicuramente indica una persona forte, ma anche autoritaria. Sarà forse una ragazza che ti comanderà a bacchetta e ti allontanerà dai tuoi amici perché è gelosa?
— Ma quella eri tu!
— Ah ah, ma non è vero!


È mattina, e per l’ennesima volta saltiamo la scuola passeggiando per la città. Appena Akrahm mi vede dice — E finalmente anche il più piccolo è diventato maggiorenne! —
— Dannato arabo stai zitto, abbiamo solo qualche mese di differenza. —
Mettiamo un po’ di musica con il mio lettore mp4, finché capitiamo su Ashley, degli Escape The Fate. Ad Akrahm viene in mente qualcosa.
— Mi sono ricordato che volevo raccontarti il sogno che ho fatto. Eravamo io e te in un parco, e vediamo una ragazza entrare in un centro commerciale. Tu mi dici “guarda, è la ragazza che abbiamo sognato!” e decidiamo di seguirla ma l’edificio era vuoto. In compenso c’erano gatti ovunque; sugli scaffali, per terra, sulle piante, sulle casse e così via. Decidiamo di dividerci per trovarla, e dopo poco arrivo in una stanza vuota ed in mezzo un divano su cui è seduta lei.
Parliamo un po’, poi mi siedo anch’io al suo fianco. Dopo un po’ ci baciamo ancora, ma era diverso dall’altro sogno. Sentivo di essere veramente innamorato, ed ero contentissimo, immerso nel mio amore. Mi sentivo anche tremendamente in colpa per averti lasciato indietro, ma anche per aver tradito Cristina. Lei però mi ha abbracciato e mi ha accarezzato consolandomi. Dopodiché mi sono svegliato. E sono stato molto malinconico. Anzi peggio. Nessun sogno mi ha mai messo tanta tristezza. Sapevo di averla persa. —
— Sei sicuro fosse lei? La stessa ragazza che abbiamo sognato?
— Certo, sei stato tu stesso ad indicarmela nel sogno. Era diversa, non mi sembrava più alternativa e rockettara ma comunque indossava vestiti neri.
— Che figata.. Questa volta l’hai detto a Cristina?
— Sì, c’è rimasta male. Ma cosa posso farci io? È solo un sogno..
Comunque quando mi sono svegliato mi sono accorto di star ascoltando Ashley degli Escape, perché avevo lasciato l’ipod acceso. Questa ragazza dovremmo chiamarla così.
— Ashley? Mi piace.
La notte stessa parlo con Marina al telefono, le racconto questa serie di sogni.
— Amore, dopo due anni che stiamo insieme dovresti capire che non credo in queste cose.
— Beh certo, ma potresti darmi qualche soddisfazione. — Rispondo scherzando.

— Mi trovo in una fiera di fumetti con te e Marco, dove per chissà quale motivo io ero nudo ma nessuno se ne accorgeva. Decidiamo di tornare a casa, e per qualche motivo la fermata del treno era situata proprio al centro del parco di casa mia. Appena scesi vedo tre ragazze, una è Cristina e tu vai da lei e la abbracci. L’altra è Vittoria che attende Marco, lui la bacia e la porta via. L’ultima non l’ho mai vista prima. Castana, occhi chiari, vestito un po’ ghotic nero, quando la vedo faccio un rapido ragionamento e capisco che è lì per me ma io non me ne ricordo. Allora lei prende la mia mano e dice di essere contenta di vedermi, mi porta in giro e ci abbracciamo per la strada. Incontro anche Darkness, hai presente chi è? Dai, quello del forum di Kami! Lui mi avverte con aria allarmata di fare attenzione all’edera, ma io lo ignoro perché sono troppo affascinato da lei, la ragazza. Mi sento d’un tratto in colpa perché ci sto provando con “faccia da troia”, in qualche modo sono impegnato con lei ma.. non m’interessa. Mi sento completamente perso. Ci abbracciamo, ci baciamo e mi sento completamente innamorato. Ricordo di aver detto qualche stronzata e lei ha riso, ha una risata dolcissima. Le tocco anche il culo e lei mi da degli schiaffi sulle mani dicendo “giù le mani, a cosa stai pensando?”. Però è strana.. parla molto lentamente, in un modo quasi ipnotico. Il sogno finisce qui. —
Akhram mi guarda socchiudendo gli occhi. — Quindi? —
— Quindi era Ashley! — Esclamo certo.
— Ne sei sicuro? —
— Assolutamente sì. E la sensazione di amore.. era incredibile. Quando mi sono svegliato ho pianto perché sentivo che nessuno mi avrebbe mai amato tanto.
— Capisco, anche io mi sono sentito molto triste.
Guardiamo il cielo, con calma. Io sono vestito elegante, devo far colpo su Ginevra, elegantemente chiamata “faccia da troia”. La cosa simpatica è che sono stato io ad affibbiarle questo soprannome, ma lei non l’ha mai saputo. Da quando io e Marina ci siamo lasciati sto cercando disperatamente una ragazza, questa è la prima che mostra interesse.
— Sei pronto? Hai bene in mente il discorso da fare?
— Prontissimo. — Affermo sorridendo.
— Vai e falla tua. —

Il telefono squilla a lungo, dopodiché una voce familiare dice — Dario? —
— Ehilà puzzone. Come va? —
— Sono le cinque del mattino, sei impazzito? Cosa c’è, nella tua nuova città non si dorme? —
Due anni fa incontrai una ragazza fantastica, Valeria, che ha subito rapito il mio cuore. Sei mesi dopo aver preso il diploma ho deciso di trasferirmi per vivere con lei, è stata una decisione improvvisa e dolorosa ma sono molto felice.
— Ho una cosa da raccontarti, molto interessante. —
Lui mugugna qualcosa.
— L’ho sognata ancora.
— Sono tutto orecchie allora.
— Ero a scuola, come se la frequentassi ancora. Incontro tutti i miei compagni di classe e i miei amici, a un certo punto vedo lei, la ragazza senza nome. E’ più giovane dell’ultimo sogno, potrei darle all’incirca quindici anni. Mi invita a uscire al cortile e parliamo. Questa volta io mi ricordo di lei, parlo del contesto del sogno, non ho capito che è Ashley ma al contrario dell’ultima volta credo di conoscerla. Ci abbracciamo e lei dice che non vuole che mi trasferisca. Il cortile è una foresta quasi magica e ci sediamo su un grosso fungo rosso e giallo. Lei quasi piange e chiede che ne sarà di noi una volta che ci separeremo. Vuole baciarmi per l’ultima volta ma io questa volta mi ricordo di stare con Valeria e non mi abbandono al suo amore incondizionato. Mi sveglio qualche secondo prima di dirle che sono già fidanzato e tutto ciò non ha senso. —
— Mi sembra una cosa interessante ma..
— Sono stanco di ricevere attenzioni in modo così passivo da quella sgualdrina. Dobbiamo fare qualcosa.
— E cos’hai in mente, sentiamo?
— Per ora nulla, ma ti farò sapere.

Qualche giorno dopo gli dimostro di essere di parola. Siamo in chat vocale su Skype, intanto gli passo numerosi link. È buio, le undici di notte, la nostra ora preferita. Lui è in silenzio, sento i “click” del mouse. — Che diamine è questo? —
— Sono studi sull’interazione nei sogni. È una cosa scientifica, sai? Non una fandonia alla Darkness. Ci sono diversi metodi per riuscire ad avere coscienza nel sonno. Prima di tutto c’è bisogno dell’auto convinzione. Prima di andare a letto bisogna ripetere mentalmente e in modo determinato “voglio essere cosciente!”, e vedrai che nel sonno riuscirai ad esserlo. Un altro modo è quello di avere un’abitudine particolare nel giorno e verificarla di notte. Che ne so, tu che sogni sempre treni, quando ti capita di viaggiare su uno di questi fai qualcosa di strano e fallo sempre. Dai un pugnetto alla parete ogni volta che entri in un treno. Se sognerai carrozze e proverai a fare lo stesso ripetute volte non ci riuscirai. È la stessa cosa di guardare l’orologio. Nel sogno l’ora non sarà mai la stessa.
— Ho capito ma che senso ha fare tutto questo?
— Se non riesci a fare cose che nella vita reale fai tranquillamente significa che è un sogno. Se inculchi nella mente questo processo e quando dormi ti accorgi di non riuscire a vedere che ore sono significa che stai sognando e, una volta che capisci questo, avrai coscienza e potrai agire come ti pare.
— Perché mi stai spiegando questo?
— Perché da qualche parte nel nostro inconscio sappiamo chi è Ashley. Dobbiamo solo chiederglielo.
— Non è un’idea così stupida, lo sai? Mi piace.
— Ti impegnerai nello scoprire chi sia questa donna?
— Sì, e non c’è bisogno che ti chieda lo stesso, vero?
— Già!

Sono a casa di mia nonna a mangiare. I suoi piatti tipici sono buoni, anzi fantastici. Adoro rimpinzarmi da lei. Lei mi fa le coccole e dice di non esagerare, dopodiché se ne va. È troppo bello per essere vero, mi sento soddisfatto e pieno. Una sensazione di immensa nostalgia mi pervade, la televisione è a un volume forse troppo alto ma non riesco ad afferrare le parole.
Mi affaccio alla finestra, è buio, i grattacieli sono luminosi e forti. Guardo in basso e c’è la stazione, un grosso cartello informa che ci troviamo a “Rovellasca Manera”.
Guardo vagamente il cartello, non mi impegno a leggere perché già so cosa c’è scritto. Aspetta, che città è questa? Mia nonna abita a Napoli, dove sono tutti i miei amici. Questa città non esiste qui. Non è reale.
La coscienza mi coglie all’improvviso come un pugno di un pugile professionista. Mia nonna è morta. Mi giro e la chiamo.
— Nonna! Dove sei? —
Ma non risponde nessuno. Il volume della televisione si alza vertiginosamente e dalla finestra vedo un’immensa luce. Mi volto a guardare, degli enormi meteoriti stanno cadendo sui grattacieli. Il cartello della stazione segna “Fine del mondo”. È ciò che sta succedendo.
Vedo una grossa palla di fuoco cadere verso di me, cerco di scappare ma non riesco. Sono troppo in alto, lontano dalla porta, queste cose nella vita reale non succedono ed è impossibile per me scappare in tempo. Il palazzo crolla, ma io sono vivo e vedo cadere tutto con tranquillità. Subito dopo mi trovo già tra le macerie, il tempo tra la caduta del palazzo e la mia ripresa è nullo. Come nei sogni, certo.
Cammino in una metropoli distrutta e abbandonata ma cerco di fare in fretta, non dormirò per sempre. Su un ponte lontano una piccola figura è abbagliata da un lampione. So già cos’è. Dopo la caduta dei meteoriti un sacco di mostri attaccano gli umani, noi torneremo in un’epoca primordiale dove dovremo combattere per la nostra sopravvivenza, come nelle mie fantasie. Vorrei apprezzare il momento in modo più intenso ma non posso, mi sono impegnato nella ricerca della verità e un mostro non potrà certo rispondere alle mie domande. Corro, ancora una volta il tempo passa in fretta e mi trovo già in un altro luogo. Mi trovo in un tempio giapponese con colonne rosso intenso e pieno di specchi. Vedo numerosi rifugiati, tra cui Akhram e Marco. Quest’ultimo ha una divisa da inserviente e mi saluta. — Sono mesi che lavoro qui con Gennaro ma lui è uno scansafatiche, non riesco più a sopportarlo. —
Akhram scrolla le spalle. — Ci troviamo in un sogno, lo sai? — Gli dico ma lui non mi risponde, guarda dietro di me. Mi volto anche io, una graziosa ragazza mi sta guardando ma c’è qualcosa che non va. È Ashley, la riconosco, ma è diversa. Ha le labbra tinte di rosso sangue, gli occhi senza iridi e sotto il leggero vestito bianco spuntano arti muniti di artigli e vene pulsanti. — Tu sei.. — le dico ma mi interrompe.
Non sento la consueta sensazione di attrazione e piacere, questa vola ho paura.
— Ti propongo una sfida. — Mi dice. Gli specchi si aprono come porte, dietro c’è un lungo tavolo. Sulle sedie ci sono mostri abominevoli, uomini in armatura o viscidi animali che mi guardano famelici. Dall’altra parte ci sono i miei cari, tutti i miei amici, le mie vecchie fiamme, la mia ragazza. — Siediti qui e difendili, se non ci riesci torturerò te e a chiunque hai voluto bene.
— Sfida accettata. — Le dico, ma poi mi sveglio.

Passo una giornata grigia e triste, la mia ragazza lavora, il telefono sembra non funzionare, non riesco a contattare nessuno. In università vedo il professore ma non lo guardo, sento la lezione ma non la ascolto. Sono immerso nei miei pensieri. Cosa voleva dire Ashley?
Che sia in realtà un pericolo? Dovrei smetterla di provare a parlarle? No, non se ne parla proprio.


Sono in camera mia, tutti i mobili sono bianchi e al centro c’è un letto su cui riposa Valeria. Io ho in mano un mazzo di fiori e piango, piango tanto. Sono le sei del pomeriggio, sono distrutto per la sua morte, sto piangendo da ore e ore. Accarezzo il suo volto bianco, quanto mi dispiace. Mi affaccio alla finestra e vedo un paesaggio grigio e scuro, il cielo è pieno di nuvole e per strada molte persone vestite di rosso con ombrelli rossi passeggiano. Mi giro verso la mia defunta amata, non ho tempo per pensare agli altri, devo tornare a piangerla. dovrò piangere per altre due ore mi dico guardando l’orologio. Segna le tre e mezza.
Non è giusto però. Prima non segnava quell’ora. C’è qualcosa che non va. Mi giro a guardare il cadavere, seduta sul letto di fianco a lei c’è Ashley. Questa volta non è un demone ma ha sempre il sorriso rosso acceso e l’abito bianco. Accarezza la mia amata.
— Vuoi ancora sapere la verità? Cosa sono e cosa voglio? Com’è che mi chiamasti, “sgualdrina” eh? —
Non le rispondo, i pensieri girano per la testa come anguille e non riesco ad afferrarne nemmeno uno. Mi accorgo di un rapido cambiamento, questa volta mi trovo nella stanza da letto di Akhram, senza mobili. A terra è stesa Valeria. Ashley si avvicina suadente.
— Voglio che tu mi ami e che ti abbandoni a me. Non dev’esserci nessun’altra. —
— Capisco. — Dico ma i miei pensieri sono diversi. Non posso, non voglio, io sono impegnato, amo un’altra ragazza, ma non riesco a dirlo.
— Baciami davanti al cadavere della tua ragazza, sii mio. — Dice in un modo tremendamente attraente. È vicina a me, il suo volto sfiora il mio, le sue labbra sono rosse e attraenti.
Non posso, ma come posso resistere? Lei sta ferma, aspetta che sia io a fare la prima mossa. Una forte sensazione di sensualità pervade il suo corpo, non provo altre emozioni.
Quindi le mie labbra sono sulle sue, la abbraccio e la bacio. La sento sorridere comunque. Si stacca da me e si stende su un letto che prima non c’era. Alza il vestito, apre le gambe e mostra il suo sesso. — Tradiscila, fai l’amore con me mentre a terra c’è il suo corpo. — La sua voce è suadente ma questa volta non ci riesco. Sta scherzando? Il suo obiettivo qual era? Non posso arrivare a tanto. — Mi rifiuto. —
Lei è già vicino a me, mi guarda infuriata. — Come no? —
— No. —
Ho paura. Ricordo cosa disse Darkness. “Provocano forte emozioni per cibarsene.”
Lei è sul cadavere della mia ragazza, ancora in forma demoniaca. Le sue mani sono munite di artigli, fa paura. Valeria si sveglia. — Che succede? Perché non posso muovermi? —
— Piccola! —
Valeria piange. Ashley mi guarda e sorride. — Devo punirti, voglio farti capire che faccio sul serio. –
La ragazza graffia Valeria. Le strappa la carne dal braccio, dalla guancia, le tira via addirittura un seno. Terrore e disgusto mi avvolgono, corro dalla mia amata e Ashley già non c’è più.
— Dove sei? Aiutami.. aiutami. — Dice e non faccio neanche in tempo a piangere che già mi sveglio.
Dal cuscino bagnato mi accorgo di aver già pianto.
Oggi è sabato, giorno libero dall’università ma Valeria lavora e non posso sentirla. Anche se ho una grandissima voglia di vederla e abbracciarla. Mentre faccio colazione qualcuno bussa al campanello e quando apro la porta mi viene il terrore. Due ufficiali della polizia si presentano e mi informano tranquillizzandomi che la mia coinquilina e fidanzata è stata coinvolta in un grave incidente e ora è in ospedale.
Poche ore dopo sono già da lei. Mi hanno permesso di vederla ma sta dormendo. Quando la vedo è quasi completamente bendata. L’infermiera mi informa che è stata investita da una macchina, la parte sinistra del suo corpo è completamente rovinata. Non ha più un seno, hanno dovuto rimuoverlo perché stava andando in cancrena. Già.
Mi sento terribilmente in colpa, piango mentre la accarezzo e resto tutto il giorno in ospedale, fino ad addormentarmi sulla sedia.

Mi trovo in un ufficio di lavoro buio, sono appesi molti sacchi della spazzatura e non capisco perché. — Questo è un sogno. — Mi dice Ashley. — Così facciamo prima, no? —
È vestita con un elegante completo nero maschile. Lei nota che lo sto guardando
— Ah sì, so che ti piacciono molto le ragazze vestite da maschio. Mi trovi fantastica, vero? —
— Hai ferito la mia ragazza, non posso perdonartelo.
— Ti sbagli amore mio. Sei stato tu a colpirla, non ti sbagliare.
— Non rivolgerti a me come se stessimo già insieme.
Lei ride e mi dà un colpetto al naso con le dita. — Non fare lo stupido. —
Mi guardo intorno, fuori le finestre c’è il buio totale. Solo nero. — Ti chiedi dove siamo? Non importa un granché, voglio solo chiederti di fare un bel gioco. —
La guardo e sento qualcosa tintinnare. Solo adesso mi accorgo di esser vestito da principe ottocentesco, un vistoso abito blu e una spada appesa al fianco. — Devi colpire con la tua arma tre di questi sacchi. Dentro uno di questi c’è il tuo amico Marco. Sono in tutto sei sacchi della spazzatura, se riesci a non colpire il tuo caro amico hai vinto. — Sorride.
— Non farò mai una cosa dal genere. — Dico, ma lei ha la risposta pronta.
Sulla scrivania dell’ufficio c’è Valeria nuda e coperte di bende. Lei ha un’ascia da guerra in mano, sporca e arrugginita. — Sai già cosa farò se ti rifiuti. —
Maledetta stronza di merda. Cosa devo fare? Indugio sui sacchi della spazzatura ed estraggo la spada. Tutti i bersagli sono immobili, è impossibile per me capire dove si trovi il mio amico. Provo a punzecchiarne uno, questo dondola silenziosamente. Tiro un sospiro e lo colpisco affondando la spada. Sento un urlo straziante e fiotti di sangue escono dal buco creato dall’arma. Cazzo! Ho colpito lui al primo colpo, non riesco a crederci.
Ashley ride. — Tranquillo, fanno tutti così ma ti assicuro che non hai colpito Marco. —
Ansimo spaventato. Che gusti macabri. Ora oltre al mio respiro profondo si sentono gocciolii di un sangue che non esiste. Mi avvicino all’altro sacco e spero con tutta la forza di essere fortunato. Colpisco con forza il secondo bersaglio e questa volta l’urlo è femminile.
— Eh no, questa volta non è lui. Che fortunato che sei! Hai solo ucciso.. com’è che la chiamavi? “faccia da troia”!
— Vuoi dire che dentro tutti i sacchi ci sono persone che conosco?
— Esatto, ma il tuo compito è non colpire il tuo migliore amico. Gli altri sono tutte persone a cui non vuoi particolarmente bene, o almeno non quanto i tuoi cari amici.
— chi ho ucciso per primo?
— Il fratello di Akrahm.
— Puttana.
— Non mi sembra il caso di rivolgersi così alla propria ragazza.
Scattando in avanti la colpisco con la spada, è tutto velocissimo e lei non se ne accorge, quasi non l’avessi mai fatto. Affondo la mia arma nel suo petto e nello stesso momento mi sveglio.
Il cuore mi fa male, avvampo e non respiro più. Mi accascio a terra ed è l’ultima cosa che mi ricordo.

Sogno ancora, sono al buio e l’unica cosa che vedo è lei piena di lividi e sangue che mi guarda arrabbiata. — Non posso agire in queste condizioni ma sappi che te ne pentirai. —


— Il tuo cuore ha ceduto all’improvviso e ora è fiacco e debole. Dobbiamo attaccarti alle macchine. — Dice l’infermiera.
— Va bene. Come sta Valeria?
— Non si è ancora svegliata. Non ci riesce.
Resto in silenzio, triste. Passo la giornata a guardare nel vuoto. Sono in trappola, avrei dovuto evitare di sfidarla. Mi rovinerà la vita, non posso neanche addormentarmi. Cosa posso fare?
Sarò costretto a vederla ogni notte, d’ora in poi, mi assillerà finché non avrò ceduto. Perché l’ho fatto?
Verso il pomeriggio mi chiama Akrahm. — Mio fratello è morto. — Mi dice. Lo so, ma come posso dirlo? — Mi dispiace. — È colpa mia. — Anche Anna è morta. — Sì, ho ucciso anche “faccia di troia”. — E tu e Valeria siete in fin di vita. Cosa sta succedendo? — È in lacrime.
— La storia è così lunga e strana che non ci crederesti. Fatti dire solo una cosa; evita Ashley.
— Non me la sento di parlare di queste cose proprio adesso.
— E invece dovresti. È colpa sua, la notte mi tortura e fa del male alle persone e quando mi sveglio sono morte.
— Non dire stronzate! — la sua voce è aspra e dura. — Ashley mi ama, non farebbe mai del male a persone del genere. È la mia ragazza ideale, e farebbe di tutto per me, non mi tradirebbe in questo modo. È la mia compagna notturna.
— Questo perché non hai un’altra ragazza, sei single adesso ma è gelosa, non vorrà nessun altra! Ascoltami, ti prego, non essere.. —
Ma lui attacca il telefono, non vuole credermi.
Cazzo.


Ci troviamo in un campo di fiori bianchi, all’orizzonte si vedono solo altri campi. Nessuna montagna, albero o città. Solo fiori bianchi. Il cielo è grigio con una leggera sfumatura dorata.
— Sii cosciente, non è reale. Questo è un sogno. —
È Ashley.
Vestita con una lunga tunica verde e un mantello, in testa ha un cappello a punta da strega.
— Ti piaccio, vero? So che hai un debole per i vestiti come questi. Le prime volte che sono comparsa ho attratto subito la tua attenzione.
— Perché?
Mi lancia uno sguardo interrogativo ma divertito, abbozza un sorriso pieno di lucida labbra lucente.
— Perché tutto questo?
— Vuoi una spiegazione? Certo, te la meriti ma non sei il solo.
Dietro di lei c’è una figura che mi da le spalle. — Akrahm, questo è un sogno. Sii cosciente.
Lui si volta, è vestito da valido guerriero arabo. Ha un turbante e una lunga tunica bianca con vari pezzi d’armatura e bende. Sta molto bene.
— Sono una predatrice. Amo cacciare con calma e pazienza. Non ve ne siete accorti ma io sono sempre stata nei vostri sogni fin da quando siete nati. Conosco le vostre vite e le vostre esperienze. I sogni erotici e gli incubi, li ho scatenati io. —
Attorno a noi appaiono diverse persone, tutte di nostra conoscenza. C’è Valeria, Marco ma tantissimi altri come Kami, Darkness, Mauro, Ciro, Erica, Lodovica, Jessica, Raffaele, Domenico.
I miei genitori, la famiglia di Akrahm, i miei compagni di scuola.
— Voglio che diventiate i miei schiavi e le mie guardie. —
— Come i demoni che sono apparsi di fianco a te in quel sogno.. — Sussurro.
— Esatto, e il vostro amore sarà cibo eterno per me.
Cosa sei esattamente tu, dannata?
— Non l’hai capito? Ho lasciato tanti messaggi nei vostri sogni. — I miei pensieri sono parole, la mia mente è questo mondo. — Il vestito, i gatti neri, le citazioni dei vostri amici.. —
Riguarda il paranormale, la magia, l’esoterismo, i demoni.
— Sei una strega. — Dice Akrahm.
— Sono tantissime cose.
Sorride compiaciuta. — Volevo adescarvi pian piano, spingervi a uccidere i vostri amici sarebbe stata l’ultima prova dopo anni di amorevoli cure. Ma voi siete riusciti a raggiungermi prima. Tu perché eri in cerca di risposte, lui perché mi voleva. Ma io non posso essere solo di una persona, ho bisogno di tutti voi.
— Perché ti sei arrabbiata tanto quando ti ho raggiunta? — La mia voce e quella del mio migliore amico sono sincronizzate, parliamo allo stesso momento. — Siete le prime persone che mai mi abbiano raggiunto, e questo non doveva succedere.
— Perché siamo qui allora?
— Ci lascerai mai in pace.
— No. Mai.
— Cosa dobbiamo fare?
— Uccidervi.
Guardo le mie mani coperte da una spessa corazza di cuoio. Sono vestito come un soldato romano, ho una daga nel fodero. — Perché?
— I sentimenti che proverete nel combattere, uccidere e venire uccisi è terribilmente appagante. Chi vincerà sarà pervaso da un’energia così asfissiante che cambierà forma.
Il perdente resterà nel limbo per tanti, tantissimi anni.
Non riesco a crederci. Davvero dovrà andare così? Non ho alternative?
Schivo per un pelo una sciabolata da Akrahm. — No. — Dice lui. Mi difendo con la mia lama, paro i suoi colpi. — Perché fai così? — Sferra un colpo abilmente scansato. — Non mi rimane niente nella vita, voglio lei. — Devio la sua lama e mi porto alle sue spalle. — Avrà altri amanti e saranno sempre più numerosi. — Li ucciderò. —
Non attacco, paro con destrezza ma anche con fatica. — Perché? Sono tuo amico, non puoi fare questo dopo tutto ciò. — Non l’ho dimenticato. — Dice lui con voce spezzata. Tutte le persone attorno a noi applaudono in modo insensato. — Faccio la cosa migliore per me, ti prego, capiscimi. — Sta piangendo mentre combatte. La rottura con Cristina l’ha ridotto così? Cos’è successo che non capisco? — Mi dispiace, Dà! — Urla, e allora capisco. Butto via la lama e lo aspetto. — Bastava chiedermelo, idiota. — Dico secco e triste.
— Ti ringrazio, sei il mio migliore amico. —
— Anche tu lo sei per me ovviamente. Fai quello che ti fa stare meglio. —
— Sei pronto?
— Sì.
Poi fu buio.
Io sono seduto a terra nudo, di fronte a me c’è Ashley, anche lei nuda. — Perché l’hai fatto? Proprio non mi vuoi?
— Non capisci. Dove sono?
— Nel limbo. Sei in coma, il tuo cuore non regge più ma il tuo cervello non permette all’anima di sognare.
— Capisco.
— Cosa farai?
— Non vuoi convincermi a stare con te?
— Hai perso, sono le mie regole. Non sei degno di stare al mio fianco. Cosa farai allora?
— Penserò alla mia ragazza. Mi manca.
— Sei così innamorato della tua ragazza e così devoto al tuo migliore amico da lasciarti scappare un’entità che ti permetterebbe di star bene e sentirti innamorato e appagato per l’eternità e vivere nel limbo?
— Già.
— Congratulazioni.
— Dov’è Akrahm?
— È di fianco a me, ma non puoi vederlo.
— È felice?
— Sì.
— Quando uscirò dal coma troverò un modo per trovarti e ucciderti, Ashley.
— Io non mi chiamo Ashley.


Fine.