giovedì 29 settembre 2011

AAAA AVVISO.

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Mi sono trasferito su questo nuovo blog!
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venerdì 2 settembre 2011

Renegade Storia 1

Ho deciso di raccontare una vecchia vecchia storia.
È scritta in modo particolare, e sono intriso dall'essenza di Chuck Palahniuk. I contenuti sono forti, ed è la prima parte.

Vi prego, fatemi sapere cosa ne pensate.




Renegade

Le fiaccole illuminano il gruppo di forestieri nella locanda Il flauto del fauno mentre lunghi corni simili alle nostre sirene avvertono di un qualche pericolo imminente. Anche una campana svelta e fastidiosa, sempre al solito rapido ritmo, accompagna le urla dei soldati.
Il barista commenta che, come al solito, l’allarme chimera deve rovinargli la serata.
Un forestiero, quello che sembra più giovane, chiede da sotto il suo cappuccio della cappa cosa sarebbe l’allarme chimera.
Il barista, giovane, con gli occhi azzurri e uno sguardo scocciato, risponde che quando nella città appaiono presunti vampiri, demoni, licantropi, streghe o ‘ste cazzate qua, devono chiudere tutto, chiunque resta barricato lì dov’era e i guerrieri ed esorcisti incredibilmente esperti fanno una retata, eliminano qualunque essere malvagio o ‘ste cose qua.
Ma probabilmente, continua il giovane barista, è un altro falso allarme.
Dopo un minuto di silenzio, sempre il barista, invita tutti i forestieri a sedersi vicino al bancone. Sarà una notte lunga, dice il giovane barista, sempre lui a parlare, voglio sentire le vostre storie. Tenetemi sveglio, nessuno può dormire questa notte.
Qualcuno sembra d’accordo, altri nemmeno parlano.
Il barista dice che offre una birra, o qualsiasi cosa sia a portata di mano, al primo che parla. Così, per dare un incentivo. Il barista, sempre lui parla.
Allora l’ubriacone di turno si offre, vuole raccontare lui la storia. E poi vuole dimenticare tutto.
Sembra un classico bandito, di quelli che depredano le carovane, stuprano donne, mangiano bambini, uccidono. Sembra un lupo mannaro. Capelli lunghi, disordinati, per nulla curati gli ricadono sulle spalle. Gli occhi azzurri sono marchiati da occhiaie voluminose e viola. Il volto è ricoperto di cicatrici spesse, sul naso, sulla bocca, sulla guancia.
Parla lui, dice, e poi vuole dimenticarsi di tutto.
Il barista lo informa che qualunque cosa chiederà, non sarà sufficiente per sbronzarsi e cadere a terra incosciente e noncurante di ciò che sta succedendo. Sarebbe troppo.
Il bandito, che è tipo un trentenne, con la barba ispida, con una giacca di pelle e cuoio, pelliccia, peli e così via dice che non fa niente, si dimenticherà di tutto ascoltando le altre storie. Ma prima la sua, dice. Così si leva il pensiero.

Storia I Il bandito

So che non ci crederete, ma io vengo da una famiglia nobile, sapete.
Ero una specie di rampollo, tutto altezzoso, con la pedicure e cazzate del genere. Dico ero perché, da quanto vedete, non lo sono più. Avevo vent’anni o giù di lì, e il giorno più importante della mia vita si stava preparando a stuprarmi la faccia.
Me lo ricordo ancora, ero uscito con una carrozza tutta addobbata, ero con i miei genitori e mia sorella. Dovevo incontrare una certa Lady Benson, la figlia di un altro aristocratico. Un possessore di terre, ma ovviamente non ci lavorava lui. Aveva dei, diciamo, dipendenti che zappavano per lui, annaffiavano per lui, davano a lui i raccolti.Lui li vendeva, dava tipo un centesimo di denaro a quei poveracci e il resto se li teneva e diventava sempre più ricco. Il campo era così vasto che se quei poveri stronzi avessero deciso di tenere per sé il raccolto avrebbero mangiato per un anno, tipo. Se solo la frutta non marcisse.
Però ovviamente non è che uno va avanti con acqua e mele, capite, la cosa non avrebbe funzionato. E non funzionerà mai, quei poveri stronzi lavoreranno sempre per ricchi stronzi.
Sua figlia, la Lady Benson di cui parlavo, me la ricordo ancora. Era una troia stratosferica.
A sedici anni mi mostrò le zinne, fu un giorno fantastico. Ma non me le faceva toccare.
Menatelo, mi diceva, e guardami. Quella troia.
A sedici anni, credo, mi permise di mettergli la mano tra le cosce, ma ricordo che facevano schifo. Puzzava. Chissà quanti altri contadini, riccastri, maggiordomi e cose varie si faceva.
Però a me piaceva, poi era una figa. Non vedevo l’ora di mangiarmela tutta.
Dovevo sposarmi con lei, avevo già premeditato tutto. Prima notte avremmo scopato come i cani, poi lei avrebbe fatto la troia con altri e io mi sarei innamorato della mia serva e avrei dormito sempre con lei. Cose del genere. Stronzate, insomma.
Allora lì, in carrozza, praticamente mi venne duro solo all’idea di poterla vedere. Cercavo di nasconderlo ai miei genitori, parlavamo del tempo, della luna piena che già sbucava al tramonto.
Poi vennero loro, i grandi. Cambiarono la mia vita.
Un branco di lupi divorarono la mia famiglia, mangiarono la faccia di mio padre, divorarono gli arti di mia sorella. Così, per divertimento, per fame, perché così si fa, per loro.
Tentarono di mangiare anche me ma quel gran figo del capo branco no, disse, lasciamolo in vita. Adottiamolo. Così fanno, quei lupi mannari, perché stiamo parlando di loro.
Depredano carovane intere poi ne lasciano in vita uno e lo tengono per sé, come trofeo.
Mi morse Caterina, quella stronza, proprio qui sulla faccia. Mi portarono al loro covo momentaneo, perché così fanno, quei lupi mannari, non hanno mai un luogo fisso dove vivere. E aspettarono, mi portarono cibo, acqua, mi trattavano come un principino e non capivo perché.
Ma poi il motivo è stato chiaro: avrei sofferto abbastanza dopo.
La prima settimana non feci che vomitare, sembrava di tirar fuori tutte le budella. Vomitavo acido e vermi grossi così, quanto il mio pollice. I mal di testa sembravano uccidermi, davvero. Caterina, quella stronza, mi disse che ognuno ha una resistenza diversa. Una predisposizione particolare. Lei per esempio ha versato fiumi di sangue dal culo e dalla figa per qualche giorno. Poi così, si riprese.
Altri ci rimanevano secchi, come Truman, che non ho mai conosciuto, è schiattato dopo due mesi di agonia. I vermi lo mangiarono da dentro. Poi riuscirono a trovare un modo per far sopravvivere i loro trofei. Come un professore che gonfia i voti dei loro studenti preferiti nei loro periodi no. Carne avvelenata, o meglio putrida. Praticamente io non mangiavo, come ingoiavo cibo i vermi me lo rubavano. E la carne avvelenata avrebbe dovuto ucciderli. Però sono resistenti, cazzo, ci hanno messo troppo per schiattare.
Rispetto a Truman riuscii a cavarmela più o meno, alla seconda settimana mi assalivano degli improvvisi dolori alle ossa, all’addome, alla schiena. Il beta del branco, Gionata, mi teneva per le braccia per non farmi contorcere mentre Caterina mi succhiava l’alluce.
No, ma davvero. Prima di diventare la troia che era faceva tipo la massaggiatrice reale. Ogni punto del piede rappresenta un nervo, no?, e massaggiando la base dell’alluce bloccava temporaneamente bloccato gli spasmi e i dolori.
Qualche tempo dopo mi avrebbe succhiato anche l’uccello, ma questo ve lo racconto dopo.
Comunque, dopo praticamente tre mesi di dolori sono riuscito a trasformarvi, e indovinate cosa?

-
Un uomo si alza e spintona il lupo mannaro. È ancora incappucciato. Lo incolpa, dice che è stato lui a fare quella cosa. Lupo mannaro non sa di cosa sta parlando.
Un’altra donna, sempre incappucciata, dice che certo, si sa di cosa stia parlando.
Quella cosa alla Lady Benson.
Il Lupo mannaro giura che non è stato lui. Il barista alza le sopracciglia e chiede cosa è successo esattamente. L’uomo si toglie il cappuccio. Capelli bianchi tirati all’indietro, un numero indefinito di cicatrici, anche lui. Pelle pallida, come quella di un morto.
Va bene, dice il morto, vi racconto.